L’ultimo decreto Ilva segna una distanza evidente all’interno del governo tra una linea di politica industriale che vuole “lo stato stratega” come fin qui raccontata (più che fatta) dal ministro Adolfo Urso, e una che vuole il libero mercato, anche in questo caso più raccontata che fatta, dal presidente Meloni. Che accanto a sé, a Chigi, ha Raffaele Fitto. Ed è lui che è intervenuto con quest’ultimo decreto, avocando a sé il dossier Ilva.

Nonostante le smentite di rito, non è un mistero che i due ministri si siano scontrati nelle segrete stanze su questo tema. Urso non ha mai sopportato ArcelorMittal, che fino a qualche giorno fa chiamava “multinazionale straniera a cui non ci piegheremo” (sarà per questo che l’Italia ha perso l’investimento Intel?) e ha provato in tutti i modi, anche promettendo un accordo di programma (per chiusura area a caldo e gestione esuberi) a fare sponda con gli amministratori locali per tornare alla siderurgia di stato.

Fitto invece, nonostante le sue gravi carenze comunicative e la sua sospettosità, da quando è arrivato si è messo in testa di tagliare la spesa pubblica inefficiente. E dio solo sa quanto lo è stata, e lo sarebbe, un’Ilva pubblica. Ma alla base di tutto, con questo decreto, viene ristabilita la legge che, con una sentenza storica della Corte Costituzionale, spesso citata anche durante la pandemia, ha stabilito che tra diritto alla salute e quello al lavoro nessuno dei due deve essere tiranno, e solo il rispetto dell’Autorizzazione Integrata Ambientale definisce l’equilibrio tra i due. Quella stessa Aia che recepisce il piano Ambientale del 2017, che sola, se rispettata, senza ulteriore sperpero di denaro e chiacchiere, garantisce che Ilva oggi è un impianto sicuro e non inquinante. Su quel piano ci hanno messo la firma Andrea Orlando nel 2014, Carlo Calenda nel 2017, e Giuseppe Conte nel 2020. E oggi Ilva è il siderurgico a ciclo integrale più “Green” del mondo.

Qualunque maggioranza che non chiarisce questo assunto è destinata a illudere i cittadini, ignorare la scienza e sfruttare i contribuenti. Qualunque opposizione che ciancia di altri piani (insostenibili) disconosce la Consulta, l’economia, e i suoi piani quando era maggioranza.