L’importante è non perdere la roba
In Sicilia la legge di Adam Smith non vale: la ricchezza più è immobile, meglio è

In tutto il mondo, dall’Australia al Canada, perfino in Groenlandia, vige la famosa legge di Adam Smith, quella che spiega la ricchezza in base alla velocità. Più il denaro gira velocemente, più un’economia si arricchisce. È la prima e più importante legge su cui si fonda il capitalismo. Forse la sa pure un bambino pachistano di Islamabad; la conoscono ovunque, tranne in Sicilia. Perché qui la ricchezza è solida e non liquida, e quindi non può, e non deve, scorrere. In Sicilia non concepiamo la ricchezza come strumento economico, ma solo come patrimonio, come “roba”, e questa deve stare ferma, presso di noi, a costo di sotterrarla. Il capitale non deve girare, “a stare fermo”: più è immobile, meglio è. Perché per noi questo Smith è un signore qualunque, senza fissa dimora, praticamente un vagabondo.
Noi siamo – o riteniamo di essere – sotto la tutela di Kronos, il dio del tempo, per cui ne possiamo perdere indefinitamente. Dalla legge di Kronos provengono altri comandamenti, come “un cogghio e un fazzo cogghiere”, perché nessuno si avvantaggi, nessuno faccia nulla, perché il fare è peccato mortale. Gli altri guadagnano con i termovalorizzatori, noi no: preferiamo buttare i soldi e affossare i Comuni trasportando immondizia in ogni dove. Gli altri fanno le comunità energetiche per risparmiare? Noi no: nonostante dovremmo avere l’energia quasi gratis, abbiamo le bollette più alte d’Italia. Gli aeroporti in Italia sono quotati in Borsa producendo valore? Noi no: li teniamo in mani pubbliche, senza investimenti, e così rallentiamo flussi turistici e aumentiamo i costi di trasporto per i residenti. Quante sono in Sicilia le società quotate in Borsa, il luogo in cui in tutto il mondo si raccoglie il capitale per far crescere le aziende? Pochissime: numeri da mezza provincia veneta, perché se ci quotiamo rischiamo di perdere il controllo, il possesso; meglio indebitarci con le banche, così lo perdiamo di sicuro.
Perché noi siamo scaltri, o pensiamo di esserlo: abbiamo il tempo, gli altri no. Pensando di essere immortali, moriamo lo stesso, vivendo male noi e facendo vivere male pure i nostri figli, incatenandoli alla “roba”. Non capendo una legge fondamentale che è la consunzione. Nulla resta eguale, i beni materiali si consumano, decrescono di valore, soprattutto se non si investe per mantenerli, gli immobili deperiscono, i terreni si inaridiscono, le stesse menti diventano obsolete. “Panta rei”, dicevano gli antichi greci prima di Smith. Tutto scorre, ma noi in Sicilia pensiamo di trattenere i granelli di sabbia della clessidra di Kronos, come facevamo da bambini costruendo le mura di sabbia a Mondello per impedire al mare di avanzare. Fatiche inutili e assurde, vite sprecate per conservare invece di investire, e fare crescere la ricchezza generale. Perché è proprio questo il punto. A noi siciliani del generale, del collettivo, del comunitario non frega un accidente. Per noi l’universale coincide con il nostro particolare.
Che ci interessa se, investendo la nostra ricchezza, si arricchisce anche il mio vicino? Lui no, lui deve stare “sotto”. Perché la vera norma ancestrale sicula è la “raggia”, l’invidia. Se io conservo, ovviamente perdendo, tu, essere confinante, non ti arricchisci, non cresci, e io di questo godo: che tu sia misero, basta che io lo sia di meno. E così, stando fermi, tenendo ferma la ricchezza di questa Isola tra le più produttive in teoria, conserviamo miseria senza nobiltà d’animo.
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