Entriamo in un luogo ancora segreto. Guidati per mano da chi sta organizzando la macchina, eccoci nel cuore del soggetto politico a cui Luigi Di Maio stava lavorando già da un po’. Le pareti sono spoglie ma l’ambizione è di riempirle presto. Il Pantheon affonda nella storia d’Italia, nei più autorevoli nomi che dalla nomenclatura democristiana sono passati negli annali, sì, “ma – ci viene detto – tutto il resto guarda al futuro”. Che inizia adesso, oggi alle 14.30. Con l’Assemblea unitaria dei gruppi di Camera e Senato, il calcio di inizio segna il via di questa partita.

Il simbolo a Palazzo Madama verrà messo a disposizione da Bruno Tabacci, mentre alla Camera non serve l’utilizzo di un simbolo già presente. Il nome sarà confermato, Insieme per il Futuro, e se pure sembra sia stato già usato da altri, in contesti civici locali, c’è un margine di accordo sul quale gli avvocati sono fiduciosi. Cosa sarà? «Un partito che si pone l’obiettivo di rinnovare le istituzioni, ringiovanirle, rinfrescarle senza abbatterle. Un soggetto che guarda a Draghi, ma anche al dopo Draghi. Perché qui vogliamo avere gambe buone e visione ampia, la strada davanti è tanta», ci viene indicato. Parliamo con il cerchio magico di Di Maio, mentre lui è a Belgrado per il bilaterale con la Serbia (c’è chi dice che sarà il prossimo fronte caldo, la Repubblica Srpska, vedremo). I valori? “Il futuro”. Ma non è un valore. “Il metodo con cui si costruisce il futuro. Il realismo. La concretezza. La verità”. Ecco, la sincerità è un valore. Che il populismo rinnega per esistere. «Vogliamo dimostrare di aver imparato dagli errori. Non si possono promettere cose irrealizzabili. La politica che cambia le cose, deve parlare di cose che può cambiare. Altrimenti significa solo prendere in giro gli elettori».

Nel centrosinistra, saldamente? «Certamente non a destra. Abbiamo un rapporto forte con il Pd, con Enrico Letta in particolare. E con Dario Franceschini. E se Vincenzo Spadafora, ex rutelliano della Margherita, è già diventato il Machiavelli di Di Maio, ecco che l’album di famiglia, Franceschini da un lato, Tabacci dall’altro, si ricuce. Ecco l’estremo Vaffa di una rediviva Dc alla ridotta esangue del Movimento. O il germoglio di una Margherita nuova. 2.0. Il centro, i centristi, arrivano. «Anche Toti e Brugnaro ci hanno chiamati». Un incontro è in agenda per i prossimi giorni. Il gruppone dei dimaiani alla Camera si ingrossa e la ventina che porta in dote Toti potrebbe farne la quarta forza politica in Parlamento. E si parla tanto di un papa nero che arriverebbe, con tutta la sua autorevolezza, da una importante esperienza amministrativa. Tutti pensano a un nome. Il Corriere gli sta facendo una discreta campagna, forse senza fargli un favore: Beppe Sala si schernisce, non sa. Non parla.

È ancora davanti al cerchio magico del ministro degli Esteri che interroghiamo la nostra Pizia. «Luigi ha fatto riferimenti chiari agli amministratori locali. E chi è il numero uno degli amministratori locali?», la risposta. Ma non c’è ancora niente di preciso. La sensazione è che Sala vorrebbe piuttosto essere il nuovo Prodi del Campo largo: essere evocato, esortato, appellato da dieci sigle di tutto il centrosinistra. E a quel punto entrerebbe in campo. Certo, il partito di Di Maio deve tenerselo vicino. Blandirlo, non brandirlo. E lavorare intanto affinché il campo inziale dei dimaiani cominci ad allargarsi ad altri. «I partiti personali non vanno da nessuna parte. Non dobbiamo fare il partitino di Di Maio», ci confermano i suoi spin doctor. «Dobbiamo unirci con altri, aggregare forze che hanno una visione simile del mondo e delle grandi scelte che andranno fatte». Le altre forze, a partire da quelle del centro, per ora prendono tempo. «La scissione in corso è destinata a determinare importanti modifiche nelle vicende politico-istituzionali del Paese. Ma non inciderà nella formazione di una coscienza nuova. Al contrario, si ha l’impressione che si stiano creando le condizioni per una nuova ondata di astensioni, che nascono dalla mancanza ulteriore di una offerta politica credibile», il ragionamento di Claudio Signorile, tornato in pista con Mezzogiorno Federato.

«Il Di Maio di oggi non è come Conte, sembra. Vediamo che cosa costruiscono e soprattutto vediamo che cosa fanno, certo ci sono molte distanze», si limita a constatare il presidente di Italia Viva, Ettore Rosato. Anche Forza Italia spegne gli entusiasmi: «Noi apriamo le porte a chi è convinto delle nostre idee, noi siamo una forza liberale garantista e riformista, noi siamo il centro e non servono altri centrini», mette in guardia il coordinatore nazionale di Forza Italia, Antonio Tajani. Che aggiunge: «Mi auguro che le beghe interne non producano danni per il Paese, facendo cadere il governo». Le beghe diventano qua e là anche risse. Digitali, per ora. Ma la tensione a Montecitorio è altissima. Il Vice presidente M5s Mario Turco twitta: “Ora conosciamo i nomi e i cognomi”. La reazione dei fuoriusciti è immediata: “Grave il tweet minatorio di Turco, siamo arrivati alle liste di proscrizione? M5s prenda le distanze”, scrivono i dimaiani.

La verità è che i nomi non si conoscono ancora tutti. E se ieri hanno iniziato ad annunciare le loro adesioni ad Insieme per il Futuro anche europarlamentari uscenti da M5s, consiglieri regionali, sindaci e assessori municipali, sono dati in arrivo anche alcuni big. Il loro passaggio con Di Maio potrebbe assestare al Movimento contiano un colpo ferale. Occhi puntati sull’ex ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, che in molti, tra le file dei ‘dimaiani’, considerano vicinissima ad abbandonare la nave di Giuseppe Conte per approdare su quella del ministro degli Esteri. Stando a diverse fonti interne, l’annuncio di un suo passaggio a Ipf potrebbe arrivare già nella giornata di domani. E Azzolina non sarebbe l’unica ‘big’ che starebbe valutando in queste ore un cambio di squadra. “O Conte tira fuori un progetto o io non ci sto”, si sfogava uno degli esponenti di peso del M5s questa mattina prima di prendere parte alla riunione dei vertici al quartier generale di Campo Marzio. Altri nomi di “big” attenzionati quelli di Alfonso Bonafede e dell’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro, entrambi considerati in passato vicinissimi a Di Maio.

Fraccaro ha negato all’Adnkronos di voler lasciare il M5s, mentre Bonafede, attuale coordinatore del Comitato per i rapporti territoriali e dunque nel Consiglio nazionale grillino, è guardato con sospetto dai colleghi per la posizione che l’altro giorno ha assunto durante il ‘processo’ a Di Maio, quando ha invitato gli altri membri dell’organismo pentastellato ad abbassare i toni ed evitare attacchi personali. Anche a livello locale si prevede una diaspora. I riflettori sono puntati sulle prossime nomine dei coordinatori provinciali: “Quando Conte farà i nomi dei coordinatori, fuori dalla nostra porta ci sarà la fila…”, ironizza un parlamentare ‘dimaiano’. Intanto la paura fa novanta, e Beppe Grillo rimane a Genova. In silenzio stampa. E anche Conte parla poco. A pranzo si è chiuso in un ristorante romano con il presidente della Camera Fico. Che al termine, tradisce con i giornalisti lo spirito del business lunch: “Convocherò tutti i referenti locali del Movimento, a partire dalla Campania…”.

Il timore che il terremoto elettorale parta proprio da Napoli e dalla Campania è forte. Lì Luigi Di Maio può contare su un consenso ancora vasto. Lo sa perfino il governatore Vincenzo De Luca, uno che guarda sempre avanti: «Luigi Di Maio è un interlocutore per costruire un partito unitario riformista. Se parla di concretezza – ha proseguito -, di rifiuto della demagogia, se ricorda a me che ‘uno non vale uno’, se c’è una maturazione politica che va nella direzione della concretezza, che nasce dalla consapevolezza che cambiare la realtà non è un programma che realizzi con le battute e con gli slogan», allora «certo che Di Maio è il nostro interlocutore».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.