Con il titolo La scelta di Anne, L’Événement, pellicola Leone d’oro all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, sarà nelle sale italiane da oggi, ancor prima che in quelle del suo paese, la Francia. Diretto dalla regista Audrey Diwan, il film ha fatto già molto parlare di sé per via della sua tematica ancora oggi scottante: l’aborto. Tratto dal romanzo autobiografico L’Evento di Annie Ernaux, La scelta di Anne è ambientato nella Francia del 1964 quando la scrittrice, allora ancora una studentessa, scelse la via dell’aborto clandestino con tutte le sue conseguenze fisiche, morali e legali per poter continuare a studiare e garantirsi un futuro. A Roma, nella cornice di Villa Medici all’Accademia di Francia, Audrey Diwan e la sua protagonista, la giovanissima e magnetica Ana Vartolomei, ci accompagnano dentro l’arduo e dettagliato percorso di questo film che pone l’accento sulla libertà, all’epoca negata, di poter decidere sul proprio corpo, un diritto che negli anni è stato finalmente acquisito ma che ancora viene messo in discussione.

Visto che lei ha iniziato la sua carriera facendo la giornalista, che domanda si farebbe su questo film?
Mi sono chiesta: “Questo film posso condividerlo solo con le donne che hanno vissuto quel periodo? O anche con una generazione più giovane, con gli uomini e con chi è contrario all’aborto?”. Una domanda vasta, per un pubblico vasto.

Come è stato fare l’adattamento del romanzo“L’Evento”? Come vi siete confrontate con l’autrice del romanzo Annie Ernaux?
La prima cosa che ho fatto è stato andare da Annie perché volevo essere sicura del mio cammino, che si potesse svolgere attraverso il suo, che entrambe guardassimo nella stessa direzione. Ci siamo trovate d’accordo che non si trattava di guardare Anne ma di mettersi al suo posto, abbiamo passato diverse ore anche a studiare dal punto di vista cronologico il suo libro, mi ha raccontato tante cose che non erano nel romanzo, aspetti legati alla politica, delle riflessioni sull’amicizia. Ha letto tre versioni della sceneggiatura e ha reagito da donna intelligente e non per riportare la sceneggiatura verso quello che è stato il suo romanzo, ma per trovare le cose giuste.

Uno dei sentimenti prevalenti nel film è la solitudine. Secondo lei è un sentimento che ha attraversato solo le donne di quell’epoca che affrontavano un aborto o è qualcosa che si vive tutt’oggi?
Penso che la solitudine sia legata al silenzio, all’assenza di parole. Questo non può riguardare tutte le donne ma credo che ci si senta sole se c’è l’impossibilità di avere uno scambio. Ovviamente non tutte le esperienze sono paragonabili, un conto è un aborto clandestino e un’altra cosa è l’aborto terapeutico però malgrado questa differenza, credo rimanga una sorta di vergogna sociale che si trasmette di generazione in generazione dovuta al fatto che non si osa parlarne.

Subito dopo il Leone a Venezia ci sono state proteste da parte del mondo cattolico. Cosa pensa del fatto che ci sono alcuni paesi nel mondo che vogliono rimettere in discussione la legge che rende legale l’aborto?
Son sempre molto tentata di discutere con coloro che sono contro l’aborto per capire da dove nasca la resistenza contro la libertà delle donne di gestire il proprio corpo. Rispondere: “sono cattolico”, non basta. Posso capire le differenze culturali però non capisco come si possa reagire a questo percorso in questo modo se si vede l’esperienza di questa ragazza come nel film, un’esperienza di dolore e di rischio. Non capisco come si possa vederla e non cambiare idea dal punto di vista umano. Ciò che mi interessa sono gli interrogativi che questo film può suscitare.

C’è una tenacia costante nel modo in cui la protagonista persegue il suo obiettivo.
Con Ana ci dicevamo costantemente che il suo personaggio era un po’ come un soldato, con gli occhi sull’orizzonte, fissa sull’obiettivo che le interessava. La vita per me è un po’ così, non c’è nulla che mi può impedire di andare avanti, provo lo stesso desiderio, la stessa determinazione, non posso farmi distogliere dalle discriminazioni.

Nel film si mostra la sofferenza fisica della protagonista non solo quella morale. Era così anche nel libro? Perché ha ritenuto che fosse necessario mostrare questo aspetto, il percorso di Anne come un soldato?
La sofferenza nel libro di Ernaux è trattata come tutto il resto, senza fare sconti a nessuno. Il suo principio è stato quello di scrivere senza distogliere lo sguardo, ed è un po’ lo stesso principio che ho adottato io nel film, andare avanti, senza distogliere lo sguardo. A volte ho dovuto anche sforzarmi per non abbassarlo.

Cosa è successo in questo mese e mezzo dopo Venezia e cosa c’è nel suo futuro?
Ho avuto la possibilità di fare vedere il film in tantissimi posti dove mai pensavo che sarebbero stati interessati. Ho avuto tantissime richieste da città della Francia ma anche all’estero e Venezia è stata una grossa cassa di risonanza. Per quanto riguarda il futuro, per fare il cinema e per essere artista, ci vogliono molti mezzi che consentano di essere libera.