Un editoriale che fa discutere, quello di Paolo Mieli sul Corriere della Sera. Fa discutere per la nettezza delle argomentazioni sviluppate e per l’importanza del tema in questione: quale legge elettorale in prospettiva delle elezioni politiche del 2023, se la legislatura andrà alla sua scadenza naturale. Al centro del ragionare di Mieli c’è una questione cruciale, l’essenza stessa di un sistema democratico: governare con il consenso della maggioranza degli elettori e non “acchittare” una legge elettorale funzionale agli interessi di turno.

«Caro Mieli, diciamo sì al proporzionale per tenerci stretto Draghi». Così questo giornale ha titolato un articolo di Peppino Calderisi e Marco Taradash in risposta al suo editoriale sul Corriere della Sera. Perché il suo articolo fa tanto discutere?
Fa molto discutere perché io, provocatoriamente, in questo editoriale ho detto: ma allora se c’incamminiamo lungo questa via, tanto vale che smettiamo anche di votare, se i governi devono essere scelti in questo modo. Innanzitutto devo ringraziare Calderisi e Taradash per aver colto il senso del paradosso, perché molti lettori, invece, l’hanno preso sul serio. Alcuni giornali hanno titolato Mieli propone di sospendere il voto e non fare più le elezioni e di scegliere il presidente del Consiglio a prescindere. Ovviamente non era questo il senso del mio articolo, e dico meno male che ci sono Calderisi e Taradash, tanto per cominciare. Dopodiché aggiungo anche che le obiezioni che loro muovono al mio articolo sono sensate. L’ho letto e l’ho riletto e sono tutte obiezioni da prendere in considerazione.

Quali in particolare?
Loro dicono, in buona sostanza: ma se a uno non piace questa destra, che è a dominante salvinian-meloniana, e non piace questa sinistra, in cui c’è una forte componente pentastellata, può cercare lo strumento per avere governi in cui queste due presenze non contino in maniera determinante? È una domanda che capisco e che mi sono posto anch’io. Ma che ha due difetti, a mio avviso: uno è di non tenere abbastanza presente le differenze sostanziali tra l’evoluzione, negli ultimi anni, della destra e quella che ha riguardato la sinistra.

Entriamo nel merito di queste differenze…
Nella destra la dominante salvinian-meloniana è sempre fortissima e vincente, a fronte di una componente berlusconiana, che peraltro non è neanche tutta intera in questo centrodestra, che non ha la forza per bilanciare la componente di cui sopra. Mentre nel centrosinistra in questa legislatura è avvenuto un cataclisma…

Nel senso che?
Nel senso che, prima, i 5Stelle sono stati dimezzati dal rapporto con Salvini – il governo Conte 1 – e poi sono entrati nel Conte2 ponendo loro le condizioni, ma nel giro di un anno sono diventati quasi una corrente del Pd, della sinistra. La loro possibilità di giocare su due tavoli e dire: sennò ce ne torniamo dall’altra parte, oggi è nulla. Oggi i pentastellati non hanno alternativa che stare in un ruolo subalterno, e la subalternità è fissata dai numeri, dentro un rapporto con il centrosinistra. Detto un po’ brutalmente: loro possono o suicidarsi politicamente andando da soli alle elezioni, oppure rimanere lì con questo ruolo subalterno nel centrosinistra, che si è visto chiaro alle recenti amministrative, dove i candidati li scioglieva il Pd, e anche quando non erano di loro diretta emanazione, vedi Napoli, non avevano nel dna niente di pentastellato. In qualche caso i 5Stelle li hanno indicati, in altri no, e anche laddove non li hanno indicati, il loro elettorato li ha votati, penso, ad esempio, al caso di Torino.

E dunque?
Dunque non si può mettere sullo stesso piano ciò che è avvenuto nel centrosinistra e i rapporti di forza consolidati nel centrodestra. Lo dico da analista, non da elettore. Il centrosinistra ha avuto un terremoto per cui i 5 Stelle sono una componente, se non residuale certamente non preponderante.

Qualcuno potrebbe eccepire: ma ancora contano…
Contano come sempre contano le componenti, ma non hanno la leadership. Possono magari obbligare il Pd a tenere il reddito di cittadinanza, però, per onestà intellettuale, non si possono mettere le due vicende nello stesso calderone. Che non gli piaccia il centrodestra lo capisco, ma il centrosinistra è cambiato. Non puoi dire oggi che i 5Stelle sono dominanti, perché così li condanni a perdere. Il compito di una politica è quello di organizzare un consenso che possa prendere la maggioranza. E qui passiamo alla seconda replica che faccio alle tesi sostenute da Calderisi e Taradash: il loro schema non tiene conto, a mio avviso, di un problema che reputo fondamentale…

Qual è questo problema così dirimente?
Il problema non è fare delle combinazioni parlamentari e metterci da fuori un tecnico o una persona che a noi piace che guida quelle coalizioni parlamentari, destra, sinistra, centro… Il compito è creare una politica che possa raccogliere la maggioranza degli elettori. C’è un problema di consenso che è importante. Non si può mettere a regime ciò che dovrebbe essere un’emergenza. Non si può creare un sistema definitivo in cui tu metti il proporzionale, così è probabile che una combinazione organica non si trovi in Parlamento e allora ogni volta metterai il governatore della Banca d’Italia o il presidente della Corte costituzionale o qualcuno così a guidare un governo di coalizione. Così rompi con il consenso. Fermo restando che la nostra è una Repubblica parlamentare, l’elettorato deve sapere che se si vince va al potere, che ne so, Enrico Letta o chi ci sarà, oppure dall’altra parte qualcun altro, e se si perde andrai all’opposizione. Il meccanismo elettorale è importante per creare delle maggioranze ma anche per creare delle opposizioni. Opposizioni che in quanto tali un giorno potranno aspirare a diventare maggioranza. È importante importare il consenso dal popolo dentro le istituzioni. Quello che è successo con i 5Stelle, la Lega, Fratelli d’Italia, è il risultato di tredici anni in cui stiamo andando avanti con governi fatti a dispetto del coinvolgimento popolare. Il primo fu Monti, l’ultimo è stato Draghi, in mezzo ci sono stati Renzi, Gentiloni, Conte: tutti personaggi su cui l’elettorato non è stato mai coinvolto se non indirettamente. In questi tredici anni chi è stato all’opposizione di questi governi, ha fatto il pieno. Sia chiaro: sul piano delle capacità personali, non metto sullo stesso piano Monti, Draghi, Conte etc… Uno ti può piacere tanto o poco, un altro ti può non piacere affatto, ma hanno in comune un vulnus che non può essere sottaciuto: chi li ha votati? Quello di Draghi può essere e sarà sicuramente un ottimo governo a patto che di essere l’ultimo di questa natura. Non puoi pensare d’introdurre un sistema elettorale che renda questa cosa definitiva. Il popolo deve partecipare, come avviene in tutti gli altri Paesi del mondo, almeno quelli a sistema democratico, tutti tranne noi che invece facciamo sì che s’istituzionalizza il fatto che si vota per creare una paralisi parlamentare e chiamare uno da fuori. E qui viene fuori il terzo problema…

Di quale natura?
Che poi uno lo pesca dai partitini di centro, che non stanno né con l’uno né con l’altro e alla fine si fa presidente del Consiglio Emma Bonino, per dire il meglio che c’è in quell’area. Questo è un antico vizio che si porta la cultura radicale, e cioè che tu il problema del consenso non te lo poni. Un “vizio” che ha anche la cultura azionista, i repubblicani di Ugo la Malfa, o i liberali, per cui a un certo punto si crea una situazione così disordinata che sono costretti a ricorrere a te per le tue qualità extra politiche. In tutti gli altri Paesi, tranne che in brevi momenti, chi guida il governo è uno che ha raccolto attorno a sé una maggioranza, e si è posto questo problema di sfondare e di dare l’impressione che è entrato a Palazzo Chigi non perché ha meritato alla Banca centrale europea ma perché il popolo o lo ha eletto o lo ha indicato in modo maggioritario come meritevole di andare a coprire quell’incarico. E detto per inciso: se li prendi da fuori e poi commettono degli errori gravissimi, non c’è penalità, perché o sono senatori a vita o faranno altri mestieri, ma come li “punisci”? Il tema elettorale serve anche a “punire”, oltre che a premiare. I partiti fuori dalle due grandi coalizioni, da noi usano questa scorciatoia per porsi come partiti indispensabili, cardini, e dettare le condizioni, come fece il Partito socialista, e anche il Partito repubblicano con Spadolini, nella prima Repubblica. Il tema che si è posto in Francia Macron, per fare un esempio, è invece quello di sfondare elettoralmente. Non si può aggirare questa cosa qui: cioè creare un partito che possa ambire a vincere e non a paralizzare quelli che non ti piacciono, premiando magari l’interdizione di un partitino del 2%. E infine mi lasci aggiungere che chi ha propugnato un sistema elettorale che era all’opposto, e cioè iper maggioritario come lo vogliono i Radicali, a turno unico, all’americana, adesso invece viene folgorato sulla via del proporzionale. Chi cambia idea merita sempre rispetto, però almeno cerchi di creare un sistema definitivo e che non si cambi ogni due anni: adesso siccome ti serve che sia proporzionale vai su questa strada, salvo poi se la tua parte si rafforza, magari mettendo Calderisi o Taradash alla guida di questo schieramento, allora dici maggioritario perché così, magari la destra va in frantumi. Così non va bene. L’Italia è l’unico Paese al mondo che sta cambiando sistema elettorale quasi a ogni legislatura. Questa è una cosa da poveracci.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.