L’Italia ha bisogno che il governo di Mario Draghi, con il suo riformismo ragionevole e determinato, pragmatico e non ideologico e con la sua autorevolezza internazionale, vada avanti fino al 2023. Ma l’Italia ne ha bisogno anche per la prossima legislatura per completare la realizzazione del Piano di riforme, pubblica amministrazione, semplificazione, giustizia, concorrenza, fisco; per ottenere tutti i fondi messi a disposizione a questo fine dall’Europa e per raggiungere così valori significativi di crescita e produttività, anziché quelli pari quasi a zero degli ultimi venti anni. Solo così sarà possibile rendere sostenibile l’enorme debito pubblico che grava sul Paese.

Forse il termine riformismo non è sufficiente per racchiudere lo spirito rivoluzionario di cui necessitano le riforme di Draghi. E non c’è un altro governo, diverso da quello Draghi, che possa realizzare questi obiettivi fondamentali per il futuro dell’Italia. Ma c’è un problema: è ben difficile, se non impossibile, che un nuovo governo Draghi per la prossima legislatura possa scaturire dal singolare bipolarismo bipopulista che caratterizza oggi il nostro sistema politico, un bipolarismo basato su coalizioni di partiti profondamente incompatibili su temi fondamentali. L’ibrido sistema elettorale a turno unico oggi vigente consente di mascherare queste incompatibilità, esaltando oltretutto le componenti più estremiste e populiste. Si tratta pertanto non solo di una caricatura del bipolarismo – che richiede schieramenti coesi, omogenei e responsabili – ma di un vero e proprio inganno a danno degli elettori. Un inganno che occorre assolutamente cercare di sventare. Andare al voto con questo sistema elettorale (o anche con uno basato sul premio di maggioranza) significherebbe giocare il destino del paese in una sorta di partita a dadi.

A maggior ragione se si denunciano le troppe ambiguità della destra sovranista in base ad una genuina preoccupazione per la tenuta democratica del paese (personalmente temo piuttosto la fuga dei mercati dal nostro debito pubblico). Per queste ragioni ritengo che occorre assolutamente cambiare l’attuale legge elettorale, adottando per le prossime elezioni – e solo per esse – il sistema proporzionale. In questo modo si consentirebbe almeno agli elettori di compiere scelte più consapevoli e meno costrittive, e al Presidente della Repubblica e al Parlamento di esercitare quei poteri di formazione del governo e di accordo della fiducia previsti dalla Costituzione, senza il condizionamento di finte colazioni elettorali. Attenzione, non sono diventato affatto un proporzionalista. Non rinnego affatto la scelta per il maggioritario e per il bipolarismo compiuta già ai tempi della Lega per l’uninominale (era il 1987), alla quale dettero vita ampi settori dei partiti della prima repubblica consapevoli della crisi di quel sistema.

Ma l’obiettivo era – e ancora dovrebbe essere – quello di un bipolarismo europeo, basato essenzialmente su un partito popolare/liberale di qua e un partito laburista/riformista di là. Un obiettivo che la caduta del Muro di Berlino avrebbe potuto consentire di raggiungere, se l’operazione politica “Mani pulite” non avesse fatto irruzione regalandoci un bipolarismo del tutto singolare, basato su due anomalie: da una parte, quella degli eredi del Pci che, grazie alla via giudiziaria, non fecero i conti con la propria storia e, dall’altra, quella di Berlusconi che, pur dando rappresentanza alla maggioranza degli italiani che ne era rimasta priva, portò con sé il suo enorme conflitto di interessi (due anomalie che si sono scontrate in termini muscolari, dando vita a coalizioni tanto ampie quanto poi incapaci di governare, e che alla fine hanno portato al collasso di quel bipolarismo).

Ora abbiamo il governo Draghi che offre una grande opportunità che deve essere colta. Se le prossime Camere saranno elette con il proporzionale, non solo sarà possibile un nuovo governo Draghi che porti a compimento tutte le riforme del Pnrr, ma la prossima legislatura potrà essere una legislatura costituente. Una legislatura costituente per realizzare due obiettivi: 1) da una parte, riformare finalmente il sistema istituzionale: bicameralismo, forma di governo, titolo V e legge elettorale con l’uninominale maggioritario a doppio turno, l’unico sistema capace di dare peso e centralità al voto dell’elettorato non estremista e più responsabile, con profondi effetti anche sugli attori partitici, che verrebbero indotti in tal modo a scelte più equilibrate, meno identitarie e settarie, sia sul piano programmatico che su quello della selezione delle candidature; 2) dall’altra, consentire la ristrutturazione dello stesso sistema dei partiti. Un obiettivo possibile solo se andrà avanti il governo Draghi, con la sua cultura di governo, sconfiggendo finalmente populismo e sovranismo, giustizialismo e antipolitica. E, attenzione, occorre che questo processo di ristrutturazione avvenga su entrambi i versanti del sistema politico, cioè riguardi sia il centrosinistra che il centrodestra, perché un sistema politico senza un’opposizione credibile e responsabile, cioè senza un’opposizione che funga da “governo potenziale in attesa”, non funziona.

In Italia le forze populiste e sovraniste raggiungono ancora, nel complesso, oltre il 55%, una situazione ben diversa da quella della Germania dove le estreme, di destra e di sinistra, sono fuori gioco. Pensare che le elezioni amministrative abbiano cambiato la situazione è del tutto illusorio, l’esito elettorale è stato determinato da un astensionismo che ha colpito prevalentemente centrodestra e cinque-stelle, elettori che alle politiche torneranno certamente a votare. Chi spera nella vittoria di un Nuovo Ulivo, di cui facciano parte cinque-stelle e cespugli vari, credo coltivi solo illusioni. Per queste ragioni ritengo del tutto irresponsabile andare a votare con il sistema elettorale vigente. Sarebbe – lo ribadisco con forza – come mettere in causa il destino del paese in un gioco d’azzardo.