L’intemerata di Letta contro il transfughismo parlamentare ha portato all’onore delle cronache politico-parlamentari una figura ai più sconosciuta: il parlamentare non iscritto ad alcun gruppo. Secondo il neo-segretario del Pd questo infatti – e non più il gruppo misto – dovrebbe essere un domani il destino dei parlamentari che abbandonano il gruppo del partito per cui si sono candidati ed eletti. Contro tale proposta uno dei migliori giornalisti parlamentari ha mosso acute obiezioni (v. A. Fabozzi, “Il neo leader fa la guerra al gruppo misto. Ma nel nuovo parlamento può crescere”, in Il Manifesto, 17 marzo, p. 3) che però non mi sembrano convincenti.

È vero, sostiene Fabozzi, che vi sono alcuni Parlamenti dove la figura del parlamentare non iscritto è prevista, ora espressamente (nel Parlamento europeo e nell’Assemblea nazionale francese; in Spagna invece essa vige non nel Congresso dei deputati ma in alcune Assemblee legislative delle Comunità autonome) oppure implicitamente, laddove non è previsto un gruppo misto (nella Camera dei comuni inglese e, aggiungerei io, nel Bundestag tedesco). Ma in questi paesi – e qui sta l’obiezione – tale figura è assolutamente marginale poiché il numero dei parlamentari occorrenti per costituire un gruppo è inferiore a quello previsto da noi.

Ciò troverebbe conferma nel fatto che nei Parlamenti di questi paesi molti sono i gruppi composti da pochi parlamentari: nella Camera dei comuni britannica sette gruppi sui dieci totali sono composti da meno di dodici parlamentari; nell’Assemblea nazionale francese dei nove gruppi quattro sono composti da meno di venti deputati; nel Congresso dei deputati sei gruppi su dieci sono composti da meno di tredici deputati. Non iscritti, quindi, sono quei pochi parlamentari che non riescono a formare un gruppo oppure che non vi vogliono aderire. Da noi, invece, dove i requisiti numerici e politici per costituire un gruppo parlamentare sarebbero più esigenti (20 deputati su 630 e 10 senatori su 315, al netto di quelli a vita, pari in entrambi i casi al 3,1% del totale), l’introduzione della figura del deputato o senatore non iscritto ad alcun gruppo farebbe lievitare a dismisura il loro numero, come dimostra già il numero elevato di parlamentari che compongono il gruppo misto.

Ma è proprio vero che nei Parlamenti citati formare un gruppo parlamentare è più facile rispetto alle nostre camere? Non c’è dubbio che sia così in Gran Bretagna dove, in mancanza di una disciplina espressa, un gruppo politico può essere formato anche da un singolo deputato per cui effettivamente la figura del deputato non iscritto è rivestita dai soli indipendenti. Ma non è così in Francia, dove per costituire un gruppo occorrono almeno 15 deputati sui 577 totali (pari al 2,6%: una percentuale certo inferiore ma non di molto rispetto alla nostra) e, soprattutto in Spagna, dove è richiesta una percentuale superiore (15 deputati su 350, pari al 4,2% del totale) e in Germania dove per formare un gruppo occorre l’adesione del 5% degli eletti (una percentuale e non un numero fisso in ragione del numero variabile dei componenti di quella camera).

Tutto ciò mi pare dimostri abbastanza efficacemente che in questi paesi la marginalità dei deputati non iscritti non dipende dal fatto che i parlamentari possono più facilmente costituirsi in gruppi parlamentari quanto dalla stabilità del quadro politico che fa sì che tali gruppi corrispondono a forze politiche che sono riuscite ad avere accesso alla rappresentanza parlamentare con un consistente numero di parlamentari e che soprattutto sono in grado di mantenere in corso di legislatura la coesione necessaria. La conseguenza è che nel nostro paese il gruppo misto si gonfia non perché le soglie d’accesso alla rappresentanza parlamentare sono elevate ma per la frammentazione e la friabilità del quadro politico, specie in occasione delle crisi di governo. Frammentazione e friabilità che l’attuale disciplina regolamentare non solo riflette ma anche in certa misura incentiva.

Da qui una seconda obiezione. Gli effetti di una riforma vanno sempre misurati non solo per quel che producono ma anche per ciò che scoraggiano. Per questo motivo mi pare difficilmente contestabile che l’introduzione della figura del parlamentare non iscritto costituisca un forte disincentivo per quei parlamentari che invece oggi, aderendo al gruppo misto, hanno tutto da guadagnare in termini di visibilità politico-procedurale e di autonoma disponibilità di risorse finanziarie e strutturali e che un domani, invece, verrebbero messi ai margini di un’attività politica che deve trovare nei gruppi politici il luogo principale di confronto e di sintesi.

Se poi si considera che tale proposta è solo un tassello di un più ampio mosaico che intende toccare anche la legge elettorale per responsabilizzare l’eletto (a partire dal recupero dei collegi uninominali per una migliore selezione della classe politica da parte dell’elettorato) e la Costituzione per stabilizzare gli esecutivi (introducendo ad esempio la sfiducia costruttiva per evitare le crisi di governo al buio), le “tentazioni” per il parlamentare di cambiare casacca dovrebbero diminuire anziché aumentare.