Ce la farà il nuovo segretario Enrico Letta a ridare impulso e vitalità al Partito Democratico? L’operazione è tutt’altro che semplice e agevole, poiché la crisi del Pd è profonda e, per di più, data da lontano, forse dalla sua stessa fondazione. Le dimissioni (via Facebook e con insulti al gruppo dirigente del suo stesso partito, una cosa mai vista prima) del segretario uscente, Nicola Zingaretti, hanno messo drammaticamente in luce le divisioni e, soprattutto, la carenza di prospettive politiche chiare e condivise del partito. Tanto che, secondo il “Radar” di Swg, tre elettori del Pd su quattro le interpretano come «segno di una spaccatura profonda, con visioni molto diverse». Il problema del Pd, dunque, non pare tanto la leadership – che pure, nell’attuale contesto politico appare decisiva – quanto, soprattutto, il dotarsi di una visione politica strategica precisa, definita e non limitata a sole affermazioni generiche ripetute con l’obiettivo prevalente di occupare posti di governo e mantenere l’equilibrio tra le diverse correnti. Lo ha detto anche Letta nel suo discorso di insediamento: «Non vi serve un nuovo segretario, vi serve un nuovo Pd».

Al riguardo, però, non è detto che i temi “di svolta” con cui Letta ha ritenuto di caratterizzare la sua nuova gestione come lo ius soli o il voto ai sedicenni siano proprio i più indicati per caratterizzare una rinnovata prospettiva di lavoro del partito. Si tratta di tematiche che coinvolgono un gran numero di cittadini, in modo spesso trasversale alle proprie preferenze politiche, ma che sono, al tempo stesso – come mostrano tutte le indagini sulla pubblica opinione condotte a riguardo – assai divisive e relativamente poco “trascinanti” quando si tratta di scegliere il partito da votare. E non sono certo gli argomenti di maggiore rilievo e urgenza in questa fase di crisi sanitaria e socioeconomica. Oggi tutte le ricerche mostrano come il tema più sentito dall’elettorato come urgente sia quello della ripresa economica e del sostegno ai ceti produttivi.

Peraltro, anche da questo punto di vista – e sulle politiche da adottare sia sul piano tattico sia su quello strategico – il Pd appare diviso al suo interno. Mentre per ciò che riguarda i consensi (virtuali) espressi dalle ricerche sulle intenzioni di voto, il partito continua a calare: secondo le statistiche di Eumetra, -2% in una settimana dopo le dimissioni di Zingaretti, con un lieve rialzo – non sufficiente a compensare la perdita subita – dopo la nomina di Letta. La contrazione dei consensi è dovuta naturalmente alla competizione nel mercato elettorale: da questo punto di vista, il vero e più temibile concorrente del Pd è sempre più il Movimento Cinque Stelle, specie dopo l’assunzione della leadership di Giuseppe Conte. Che è tuttora uno dei leader più considerati dall’elettorato del nostro paese, tanto che molti osservatori appaiono sorpresi dal perdurare della sua vasta popolarità tra la popolazione: secondo Demos al 67% (era 65% in Febbraio).

Insomma, malgrado sia scomparso da ormai qualche settimana dagli schermi televisivi e, in generale, dalla ribalta mediatica, Conte – i sondaggi lo dimostrano – continua ad essere molto seguito dagli elettori, con un consenso addirittura in crescita. Secondo, da questo punto di vista, solo a Draghi, che continua a collocarsi al primo posto tra i leader politici del nostro paese, ma che evidenzia un (forse fisiologico, dopo l’entusiasmo iniziale) lieve calo. Conte gode di un consenso che non è limitato, come sarebbe comprensibile, ai 5stelle – che si appresta a dirigere – ma che si estende agli elettori di svariate altre forze politiche, in particolare al Pd. Molti, tra i votanti di questo partito, continuano a stimarlo e a vedere in lui una personalità di grande rilievo. Di conseguenza, la maggioranza degli attuali elettori Pd non ritiene opportuno rimproverare la passata leadership del partito di avere puntato troppo sul Conte ter e pensa che sia opportuno proseguire con l’alleanza con i grillini. Che, a loro volta, nella componente che fa riferimento a Di Maio (e quindi anche Conte) hanno subito fatto proprie le proposte iniziali di Letta su cittadinanza e diritto di voto ai sedicenni.

In altre parole, Letta corre il pericolo che, con la nuova direzione di Conte, il M5S appaia sempre più “attrattivo” agli stessi elettori del Pd. Resta il fatto che, dal punto di vista della composizione sociale, in questo momento, il M5S e il Pd appaiono molto diversi. Come ha evidenziato anche un recente analisi di Ixè, il primo tende a raccogliere le classi meno fortunate, con problemi economici, mentre il secondo ha più successo con i ceti medio-alti. Ma con la direzione di Letta e Conte, le cose potrebbero cambiare e i due partiti in questione potrebbero, dal punto di vista dell’elettorato di riferimento, assomigliarsi sempre di più. Insomma, la competizione sul mercato elettorale di queste due forze politiche – malgrado il perdurare della loro alleanza – si fa sempre più intensa. Molti commentatori hanno accusato la gestione di Zingaretti di essersi “appiattita” (qualcuno ha detto addirittura “messa a traino”) sul M5S: riuscirà Letta a cambiare rotta?