Dopo settimane di negoziati intensi, finalmente il governo è riuscito a mettere d’accordo le forze politiche su un testo condiviso e il Senato ha approvato in prima lettura il disegno di legge sulla concorrenza. È solo il primo passo e sembrerebbe che l’esecutivo abbia portato a casa un obiettivo solo formale. Ma quali conseguenze sostanziali ne deriveranno? Sembrerebbe poche. Ne parliamo con Paolo Reboani, economista del lavoro ed esperto di relazioni industriali.

Reboani, anche oggi la concorrenza domani?
O dopodomani. Il quadro che abbiamo certamente non ci induce a essere ottimisti perché il Paese abbia uno scatto verso un sistema più competitivo e concorrenziale di regole. Purtroppo credo che, nonostante il passaggio che sia molto importante anche per la fruizione delle risorse, questo traguardo sia ancora molto lontano nel tempo e che si tratti di un problema sia culturale sia delle forze politiche.

Le parti più sostanziali del ddl concorrenza – dunque, quelle sul trasporto pubblico e soprattutto sui servizi pubblici locali – hanno la natura di delega al governo e non sono immediatamente applicative. In più richiedono un accordo ampio tra ministri diversi e in alcuni casi con le Regioni. Secondo lei è credibile che ne usciranno fuori gli interventi ambiziosi che la Commissione europea chiede?
Nutro molti dubbi in proposito. E la congiuntura elettorale non aiuta. Penso che il quadro generale sia fissato per l’ennesima volta, e il rischio è che se queste riforme non saranno realizzate in tempi brevi insieme ai passi amministrativi necessari, certamente le avremo molto più in là del tempo. Il fatto che il dibattito si sia concentrato così tanto sulle concessioni balneari, credo abbia distorto molto l’attenzione su un tema così importante per il Paese.

Ma per sbloccare i fondi, i contenuti del ddl dovranno essere attuati entro fine anno oppure basta che siano approvati?
La formulazione e l’approvazione del ddl concorrenza non specifica esattamente se anche i decreti delegati debbano essere approvati e in quali forme. È evidente che questo dipenderà anche da una contrattazione con la Commissione europea. Io penso che riusciremo a portare a casa qualche risultato: temo che il nostro sarà il solito procedere a macchia di leopardo, il che poi alla fine non aiuta la crescita del Paese.

In effetti, diceva bene lei, s’è fatto un gran parlare delle concessioni balneari, ma in realtà siamo stati sempre un paese di monopoli – penso alle ferrovie e alle telecomunicazioni – e d’altra parte, abbiamo un enorme problema di regolazione del mercato. Con i consumatori tutt’altro che tutelati.
Su questo non c’è dubbio. Il tema è un tema antico, quasi da legge Fornero, nel senso che siamo partiti nel ’90 con questa tematica di aprire al mercato e di avere autorità di regolazione, di avere delle regole chiare e certe, dimenticando che la nostra struttura giuridica non è una struttura giuridica da common law, ma da diritto amministrativo. E dimenticando quanto importante sia il ruolo del Tar e degli organi giurisdizionali, dimenticando, infine, quanto questa società sia una società che vive sulla rendita. Piccola, grande, occulta, trasparente: ma certo, non è una società abituata all’intraprendenza, alla concorrenza e alla competizione. Questo è per alcuni un vantaggio, per altri è uno svantaggio.

Per chi è un vantaggio?
Per chi ovviamente ha costruito tutto su una rendita di posizione. Solo loro: perché non è un grande vantaggio il fatto che il Paese sia diviso (almeno) in due. E non è un vantaggio il fatto che i giovani non riescano rapidamente a entrare nei cicli produttivi. Mi pare che questi siano degli svantaggi strutturali ben più forti dei piccoli vantaggi di rendita che alcune categorie, anche legittimamente, possono coltivare.

Se dovesse andare tutto male, Bruxelles potrebbe bloccare i soldi?
Teoricamente è una condizione abilitante e quindi ha un forte impatto sulla concessione delle risorse da parte di Bruxelles. Io penso che però che sia molto più probabile che avremo, come abbiamo sempre avuto in questi anni, una serie di reprimende e di pagelle negative. E questo certamente per la nostra reputazione può non essere un elemento positivo.

Per finire, le giro la domanda che Carlo Stagnaro lanciava alla fine di un suo articolo, qualche giorno fa: quale futuro può avere un Paese nel quale il cavallo, il carro di quanti vivono di rendita è stracolmo, ma quello dell’uguaglianza delle opportunità sconsolatamente deserto?
Credo che da questo punto di vista abbiamo un futuro colorato di grigio. Considero un errore non ascoltare le tante sirene, in questo caso non negative ma positive, che ci dicono che se noi liberiamo da un po’ di vincoli la nostra società e la nostra economia, la nostra stessa cultura può diventare più fertile. Eppure lo vediamo nel lo stesso tessuto produttivo: esistono tanti esempi, piccoli ma virtuosi, di questo, i tanti giovani che vorrebbero essere imprenditori e devono superare mille inutili ostacoli. Penso che il nostro carro sia un po’ troppo affollato: se ne avessimo uno più piccolo, pieno di gente dedita alla competizione, per il Paese sarebbe solo un bene. E tutti più lontano.

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Ho scritto “Opus Gay", un saggio inchiesta su omofobia e morale sessuale cattolica, ho fondato GnamGlam, progetto sull'agroalimentare. Sono tutrice volontaria di minori stranieri non accompagnati e mi interesso da sempre di diritti, immigrazione, ambiente e territorio. Lavoro in Fondazione Luigi Einaudi