Il suicidio della sinistra
Intervista a Sergio Cofferati: “Blair fu un abbaglio, la via giusta era Delors”
Una vita nel sindacato, nella Cgil, della quale è stato segretario generale dal giugno 1994 al settembre 2002. Poi una esperienza da primo cittadino di una città importante come Bologna, di cui è stato sindaco dal giugno 2004 al giugno 2009. E poi europarlamentare dal giugno 2009 al 1° luglio 2019. In sintesi, Sergio Cofferati. Con lui Il Riformista prosegue il confronto aperto dall’articolo di Fausto Bertinotti.
Sostiene Fausto Bertinotti: «Solo lo scioglimento del Pd potrebbe aprire a tutti i riformismi e a tutti i riformisti la via di una costituente per un nuovo soggetto politico». Sergio Cofferati ci sta?
Prima di pensare ai partiti, al loro futuro, penserei a che cosa i partiti che si dichiarano di sinistra, che poi lo siano o meno è tutto da vedere, dovrebbero fare per tornare ad essere, nel pensiero e nell’agire politico, di sinistra. Perché per la gran parte non lo sono più, in virtù non soltanto delle teorizzazioni ma delle azioni che fanno. Cos’era una forza politica della sinistra? Era una forza che aveva in mente una società equa, con un lavoro dove il salario era accompagnato dalla dignità, cioè dal rispetto della persona che produce, e dove le dinamiche evolutive, quelle che riguardano la vita, la singola persona, erano da tutti ugualmente accessibili: giustizia, equità, rispetto dei diritti individuali e collettivi, temi che si sono un po’ discostati dall’orizzonte di una sinistra che ha smarrito la sua identità. Il problema primo è recuperare i valori storici della sinistra, di quello che era stata la sinistra nel secolo abbondante che abbiamo alle spalle e che in larga parte si è perso cammin facendo.
Tredici anni fa nasceva il Partito Democratico. Tredici anni dopo qual è il tuo giudizio politico di questa esperienza?
La nascita era accompagnata non soltanto da aspettative molto forti che non si sono realizzate, ma anche da condizioni oggettive nella società italiana di quel momento che lasciavano pensare che un partito che nasceva con un progetto così ambizioso, mettere insieme forze dalle storie diverse, avesse oggettivamente degli spazi. Poi gli spazi in parte si sono ristretti ma soprattutto, secondo me, quel partito cammin facendo in una parte non piccola del suo gruppo dirigente ha dimostrato di avere ben poco interesse per l’obiettivo originario. Era giusto far nascere il Partito Democratico, di questo ero e rimango convinto senza dubbio alcuno, però bisognava governarlo diversamente, dirigerlo in un’altra maniera, soprattutto per quanto riguarda lo scenario internazionale…
A cosa ti riferisci?
Noi, ma è meglio dire quel gruppo dirigente, ad un certo punto siamo stati, purtroppo, affascinati dalla Terza via. La rovina della sinistra in Europa è Tony Blair. Noi abbiamo guardato con un interesse che non meritava, non facendo al suo progetto nessuna delle critiche che andavano fatte in Europa. Basta pensare ad una cosa: io credo che il progetto economico, sociale più vicino a quei valori dei quali provavo a parlare all’inizio, sia stato quello del Libro bianco di Jacques Delors. Delors era molto più di sinistra, se possiamo usare questa espressione, nonostante la sua provenienza cattolica, di quanto non lo fosse Tony Blair. Ma noi non abbiamo guardato a Delors e all’ispirazione che stava nel suo progetto economico e sociale, che ci avrebbe permesso di affrontare i problemi della globalizzazione in ben altro modo. E invece ci siamo accodati all’ipotesi blairiana con il danno che questo ha comportato. Perché l’idea della Terza via trasportata in un Paese che aveva la storia e le caratteristiche del nostro, è diventata immediatamente cancellazione progressiva di alcuni dei valori storici, un radicale cambiamento dell’idea di lavoro, dei contenuti del lavoro, della rappresentanza del lavoro. E c’è un radicale cambiamento anche dei rapporti nella società tra persone soggettive. Pensa nella globalizzazione ai processi migratori, ai cambiamenti di relazione tra le aree forti e le aree deboli. L’abbandono di quelli più deboli al loro destino o peggio ancora lo sfruttamento. Nella Terza via non c’era nessuna critica del colonialismo del quale il Paese di Tony Blair era stato uno dei principali attori. Per questa ragione, io credo che lo sforzo principale da fare sia quello di tornare all’origine nella sinistra politica, relativamente a quei valori, e poi cercare di modulare quei valori in uno scenario diversissimo da quello dell’epoca. Perché non c’è più niente oggi che assomigli a quel tempo.
Ragionare intorno ad un rilancio di un campo di sinistra in un presente marchiato dalla pandemia, che cosa dovrebbe comportare?
Lo sforzo di guardare a quello che bisogna fare non per ritornare a prima alla crisi. Anche il lessico vale qualcosa: noi dobbiamo lavorare per ritornare… no, io non voglio tornare a prima. Perché già avevamo cento difficoltà. Voglio fare una cosa nuova che sia meglio di come eravamo prima, mettendo in conto anche che nel fare la cosa nuova, come è ovvio, il primo problema è fermare la pandemia. Ma anche come affronti la pandemia è un discrimine. Si è vista una cosa che han compreso tutti, ma che non era all’ordine del giorno un anno fa…
Vale a dire?
La sanità deve essere prevalentemente pubblica. Dove la sanità è stata consegnata in mano ai privati, l’effetto pandemico è stato molto più forte, perché non c’era la cura in casa delle persone. E anche sul piano delle operazioni, ha favorito i ricchi, se posso usare questo termine, perché sono in grado di accedere alla prestazione sanitaria a condizioni che sono negate ai poveri. Lo stravolgimento c’è in piccole cose delle quali non teniamo conto. C’è in questi giorni una polemica molto vivace sui trasporti. I mezzi di trasporto sono dei luoghi di diffusione della pandemia. Però non lo sono i treni ad alta velocità, ma il pendolare non può salire sul treno ad alta velocità, non soltanto perché non serve al suo bisogno ma anche perché non è accessibile sotto il profilo del costo del trasporto. Anche lì, paradossalmente, c’è una discriminazione di classe come si sarebbe detto un tempo, che viene ignorata. Allora, non ritorniamo a dove eravamo un anno, un anno e mezzo fa, ma costruiamo in questa condizione difficilissima, dolorosa, i presupposti per una società che sia più equa e più giusta.
E al centro di questo c’è il grande tema del lavoro?
Assolutamente sì. Bisogna pensare che il lavoro non deve essere più quello di un anno e mezzo fa. Lo smart working, che è una forma moderna di lavoro, era ostacolato e osteggiato, mentre adesso sembra essere diventato la soluzione dei problemi. Non è la soluzione dei problemi, ma è una forma efficace di prestazioni che ha bisogno di essere regolamentata. Il lavoro è cambiato rispetto a quello dei nostri anni lontani, sia in basso che in alto sul versante delle professionalità. Guardiamo al lavoro manifatturiero più semplice: non viene più svolto con le condizioni di prima, anche se apparentemente sono le stesse. Perché è stato affidato alle persone più deboli e meno capaci di difendersi, per cui la raccolta della frutta e della verdura viene scaricata su delle persone che non godono né di protezioni legislative né di adeguato riconoscimento del loro lavoro manuale. Il lavoro manuale della fabbrica si era progressivamente organizzato e difeso. Il lavoro manuale di queste persone è in condizioni quasi disperate, non se ne è occupato nessuno per tanto tempo e adesso che cominciano ad occuparsene lo fanno con molta disinvoltura, tant’è che sostanzialmente non è cambiato niente. Si dice che c’è un problema e si va oltre. Bisogna guardare a questi cambiamenti del lavoro, da un lato, e a quelli che sono prodotti dalla tecnologia. Arrivano i robot, con potenziali vantaggi per la liberazione dalla fatica ma anche con problemi non di poco conto per il lavoro che annulleranno. La tecnologia è fondamentale ma va sempre accompagnata da una visione complessiva, nella quale la conoscenza serve a produrre il nuovo ma serve a dare anche una certezza a quello che viene sostituito. Se cali queste cose nel quotidiano, ti rendi conto che se vuoi essere di sinistra perché rispondi ai valori del tuo tempo passato, hai bisogno di estendere i diritti e rimodulare i diritti che già ci sono per chi lavora, perché è interessato da questi processi di cambiamento. Lo Statuto dei lavoratori deve essere esteso e aggiornato. Secondo punto: il lavoro ha sempre goduto storicamente di una rappresentanza. La prima assemblea delle società di mutuo soccorso è del 1853 ad Asti. Le società di mutuo soccorso nascono non per dare rappresentanza ai lavoratori ma per la difesa del debole. Sarà poi il sindacato, le Camere del lavoro nascono nel 1891, con gli strumenti contrattuali, ad aggiungere la rappresentanza alla difesa del debole. Oggi non si hanno le stesse certezze di prima, per queste trasformazioni. Per questo oggi ci vuole una legge sulla rappresentanza. La contrattazione collettiva e il valore erga omnes nei contratti non bastano più. E poi ci vuole un progetto complessivo. Adesso arriva il Recovery fund, e si squadernano seicentoquarantamila progetti. Un numero infinito, più sono e meno sono credibili. Ci vuole una politica di crescita basata, perché abbia un valore di sinistra, sulla conoscenza. Conoscenza vuol dire capacità di innovare, vuol dire scuola, studio alla base del vivere quotidiano, sia per quanto riguarda le persone sia per quanto concerne la loro collocazione nel sistema nel quale vivono. Vorrei che la sinistra parlasse di questo. Sapendo che sono cose che incombono. Purtroppo non sento discussioni di questa natura. E poi c’è l’altra grande questione che è quella dei diritti individuali. Qui bisogna partire da un dato tante volte dichiarato ma non concretamente praticato: donna e uomo uguali sono. E poi sulla parità reale costruire progressivamente il resto.
Se tu dovessi sintetizzare l’orizzonte di una sinistra all’altezza del tempo, come lo definiresti?
Secondo me così come era nato il PD, parlo delle intenzioni non delle realizzazioni non conformi alle intenzioni, sarebbe utile provare a guardare al futuro, anche quello ravvicinato, ipotizzando una formazione politica della sinistra tutta insieme, con le singole sensibilità. Ad esempio l’attenzione per l’ambiente, che non è mai stato un patrimonio forte della sinistra storica, per fortuna oggi c’è. Se si cominciasse a pensare ad una organizzazione larga, che si dà l’obiettivo di rappresentare tutti nella sintesi, però partendo da tutte le opinioni che diverse – obiettivo difficilissimo, ambiziosissimo – sarebbe un bel tentativo. Usciamo dalla pandemia e dai suoi effetti disastrosi non con una ulteriore frammentazione di quel che c’era prima, e ancor meno con una politica che dimostra di avere attenzione soltanto ai rapporti di forza e agli spazi di rappresentanza.
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