La storia dei socialisti italiani è anche la storia di una staffetta tra Filippo Turati, Pietro Nenni e Bettino Craxi che si sono idealmente e personalmente trasmessi un patrimonio di idee e ideali che hanno contribuito a rendere l’Italia più giusta, più libera e più moderna. E’ una delle affascinanti storie raccontate in questa intervista all’”Avanti! della domenica” da Ugo Intini, del quale è uscito oggi l’ultimo libro, “Testimoni di un secolo ”.

Dal 1981 al 1987 Intini è stato direttore dell’Avanti!, dove aveva cominciato da ragazzo e dove ha lavorato per 27 anni. Deputato socialista dal 1983, portavoce del Psi, viceministro agli Esteri nell’ultimo governo Prodi, Intini ha scritto diversi saggi politici che hanno anticipato temi e linee interpretative sulla comunicazione e sulla privatizzazione della politica. Nel suo ricchissimo “Avanti!, un giornale e un’epoca” ha ripreso e sviluppato gli studi di Gaetano Arfè’ sulle vicende del socialismo italiano e ora nel suo ultimo libro Intini aggiunge nuove pagine, con il consueto gusto per i dettagli memorabili e con la profondità del giornalista che si attiene ai fatti ma che coglie tutte le sfumature delle vicende vissute. Un racconto del Novecento con la testa e il cuore dei suoi protagonisti.

Di tutti i personaggi che hai incontrato, qual è quello che ha lasciato di più il segno nella tua vita dal punto di vista umano e politico?
«Pietro Nenni, al quale non a caso ho dedicato il primo capitolo, così come a Craxi, per chiudere il cerchio, è dedicato l’ultimo. Diceva spesso: “le idee camminano con le gambe degli uomini”. Anche per questo ho raccontato la storia del Novecento attraverso gli uomini, per l’esattezza 48 protagonisti più o meno famosi, italiani e non, socialisti e non, accompagnati da centinaia di comprimari. E’ un racconto corale, con testimonianze innanzitutto umane che gli storici, pur molto più bravi di me, non potrebbero fare, perché loro si basano sulle carte e non sulle persone».

C’è un tratto che accomuna personaggi così diversi tra loro come Nenni, Pertini e Craxi?
«Andrei più indietro nel tempo. La storia comporta una staffetta tra le generazioni. Turati e i fondatori del Partito Socialista hanno preso il testimone dai padri del Risorgimento. Turati ha consegnato il testimone a Nenni e Pertini. Loro a Craxi e alla sua generazione. Il più grande impresario teatrale del tempo, Remigio Paone, era un vecchio socialista che negli anni ‘60 diceva a Nenni: “Sei riuscito dove Turati non era riuscito: portare i socialisti al governo”. A Craxi si poteva dire: “Sei riuscito a portare i socialisti dove Nenni non era riuscito: a capo del governo”. Lo si poteva dire, ma Craxi assolutamente non voleva, perché gli sembrava una mancanza di rispetto verso Nenni, che era il suo mito e il suo maestro. Cosa accomuna tutti questi leader? Erano innanzitutto uomini di partito. Nenni e Pertini dicevano spesso: meglio avere torto nel partito che ragione fuori dal partito. Nenni, Pertini e anche Craxi hanno avuto l’umiltà di restare anni in minoranza nel partito».

E qual è la differenza tra i partiti di allora e quelli di oggi?
«Un tempo, ma ancora oggi nei partiti democratici, prima venivano la storia e la cultura, poi la politica, poi il potere. Oggi c’è solo il potere. L’interesse personale, i partiti personali, i sedicenti leader. Il caso limite è stato l’implosione dei 5 Stelle, la prima forza in Parlamento. Per questo l’opinione pubblica rischia di non credere più nella democrazia, anzi i giovani non sanno nemmeno che cos’è».

Il libro non si sofferma soltanto sui protagonisti del socialismo italiano e internazionale, ma si raccontano le storie di grandi uomini di culture politiche diverse. Con dettagli e aneddoti che consentono di “assaporare” sfumature decisive, da Moro a D’Urso, da Ciampi a Montanelli, da Shimon Peres ad Arafat…
«I testimoni del secolo sono socialisti, ma anche di idee diverse o addirittura opposte. Da Ceaucescu e Kim il Sung, sino ai capi Talebani e al re saudita. Frequentare mondi così diversi con spirito critico e curiosità ha sempre aiutato a capire».

Cosa sarebbe stata l’Italia senza i socialisti?
«I socialisti sono stati il motore della modernizzazione e dei riformismo, ostacolati dalla destra ma anche dalla cultura prevalente a sinistra. Quando nel ‘78 Craxi disse che la sinistra non poteva essere leninista, la grande stampa si irritò e Berlinguer fu preciso: altro che socialdemocrazia, altro che socialdemocratico e riformista! In poche parole spiegò tutto il berlinguerismo. “La socialdemocrazia persegue non una vera politica trasformatrice e rinnovatrice ma una politica riformista”. L’Italia è stata per la verità senza i socialisti e a ben vedere anche senza la politica. Io lo chiamo “il trentennio perduto”. Nel 1990 il nostro Pil era simile a quello di Francia e Gran Bretagna, oggi è del 35% e del 40% più basso. Una catastrofe, anche se le cause sono molto più profonde e vanno al di là della politica».

Puoi essere più preciso?
«Esito sempre perché la realtà ignorata è troppo cruda. Siamo tra i Paesi più vecchi. I giovani sono pochi. E quei pochi sono tra i meno istruiti del mondo sviluppato: non sono le premesse migliori per prevedere un futuro di sviluppo».

Passando alla politica estera, nel tuo libro sostieni che i socialisti hanno avuto un ruolo decisivo contro la minaccia di Mosca. E la minaccia di adesso?
«Mosca puntò i missili SS20 contro l’Europa per intimidirla e dividerla dagli Stati Uniti. Noi riequilibrammo la situazione installando i Pershing e Cruise. Se il Psi non fosse stato fermissimo, l’Italia non avrebbe deciso l’installazione dei missili. Se l’Italia non avesse deciso, l’Europa non avrebbe deciso: i missili non sarebbero stati installati e l’Urss avrebbe vinto la Guerra Fredda condotta a tavolino per decenni, come una partita di scacchi. Me lo riconobbe dopo anni il segretario di stato americano Brzezinski. Adesso mi colpiscono due cose: gli eccessi di retorica e il disinteresse per i numeri. La Russia non è l’Unione Sovietica. L’Unione Sovietica aveva 300 milioni di abitanti, contro 332 milioni di europei compresa la Gran Bretagna. Adesso la Russia ha 145 milioni di abitanti, contro 450 milioni di europei (più i 64 della Gran Bretagna). La Russia ha un Pil inferiore di 342 milioni di euro a quello della sola Italia, un ventiduesimo dei Paesi Nato».

In questo libro, racconti la grande storia del Novecento, con la testimonianza di uomini che hanno lasciato un segno nella vita di milioni di persone. E lo fai, privilegio raro, da testimone e protagonista al tempo stesso. Un lavoro imponente, che hai potuto ricostruire attingendo a quello che chiami “il computer della memoria”. Sei soddisfatto di questo lavoro?
«Sono 680 pagine scritte non in modo frettoloso, come di solito sono stato costretto a fare da giornalista, quindi un lavoro enorme che pochi possono fare, poiché l’unico privilegio dell’età è quello di aver conosciuto protagonisti che con il loro racconto ti portano molto indietro nel tempo. Penso sia un lavoro utile soprattutto in un’epoca nella quale la cancellazione della memoria è un problema gravissimo! Ci schiaccia sul presente e ci toglie anche il futuro. Abbiamo appena appreso che un influencer importante come Fedez, un uomo di spettacolo e un milanese, non sa chi fosse Giorgio Strehler».

“L’Avanti! della domenica” è l’unico giornale di partito in edicola…
«Quasi tutti oggi riconoscono che la crisi della democrazia nasce dalla scomparsa dei partiti, avvenuta a partire dal 1992-94. Ma è tardi: l’Avanti! della domenica è un simbolo della staffetta che, come prima ricordavo, porta al Risorgimento. Il suo primo direttore, Vittorio Piva, era il figlio di un eroico generale garibaldino, suo fratello da parte di madre, anche lui all’Avanti!, era figlio naturale di Giosuè Carducci, il poeta del Risorgimento.

Qual è l’”insegnamento” che consegni a un giornalista dell’Avanti o a un giovane dirigente del partito in cui hai militato per oltre mezzo secolo? Qualcosa da rimproverargli?
«Ho fatto esattamente la stessa domanda a Nenni nella sua ultima intervista. Ti rispondo con le sue parole testuali: i vecchi non devono rimproverare niente ai giovani perché devono pensare che di quanto esiste di erroneo nel loro atteggiamento, sono essi stessi responsabili. Per quanto riguarda l’aspirazione dai giovani verso l’avvenire: i vecchi sono dei cattivi giudici, sono dei giudici già sulla via del tramonto».