«La legge di bilancio cerca di correggere errori compiuti nel passato, in particolare dal Conte1. Modifica alcuni criteri per l’assegnazione del reddito di cittadinanza: d’ora in avanti sarà più difficile rifiutare offerte di lavoro. Elimina Quota 100 e si va a Quota 102: tuttavia, permane il privilegio (per pochi, ma a spese di tutti) che era alla base dello schema di prepensionamento. Il cashback, ideato e voluto da Giuseppe Conte, viene cancellato: Draghi l’aveva già sospeso in quanto regressivo». Ecco, in estrema sintesi, la prima legge di bilancio di Mario Draghi secondo Veronica De Romanis, economista e saggista, docente di European Economics all’Università Luiss di Roma. «A conti fatti – spiega De Romanis – la manovra consente di tenere insieme le diverse anime del governo. I provvedimenti fallimentari del passato vengono (in parte) corretti: così ognuno potrà raccontare che, in fondo, non sono stati commessi grandi errori. Le decisioni su temi complessi come pensioni e fisco, invece, sono rimandate».

Draghi non ha mai condiviso Quota 100. Tuttavia il passaggio a Quota 102 non sembra modificare più di tanto l’impostazione della misura prevista dal Conte1.
Draghi ha detto che si tornerà alla “normalità”, ossia alla riforma Fornero. Altrimenti il sistema “rischia di non essere sostenibile”. Come mostrano i dati della Ragioneria Generale dello Stato, a causa di Quota 100 la nostra spesa pensionistica nel lungo termine – cioè entro il 2035 – raggiungerà un picco del 17,4 per cento del Pil. Questa proiezione, tuttavia, sconta previsioni molto ottimistiche su tasso di crescita, produttività e tasso di natalità. Il rischio che la spesa sia ben maggiore è concreto. Per questo le riforme delle pensioni devono essere disegnate partendo dai dati (cosa che non si è fatto con Quota 100). Ossia dal fatto che in Italia troppo poche persone lavorano (soprattutto tra gli over 55enni), facciamo pochi figli, e per fortuna viviamo più a lungo. In un simile contesto, abbiamo bisogno di più persone che lavorano e non di più persone in pensione. Peraltro, va sempre ricordato che la famosa staffetta generazionale non esiste in nessun paese. Anzi, è vero il contrario: al tasso di occupazione elevato tra gli over 55, corrisponde un tasso elevato di occupazione giovanile.

Come valuta il modello Opzione Donna? Come si muove il governo sul punto?
Non è stato molto usato a causa della forte penalizzazione. Bisognerebbe intervenire in modo più sistematico e significativo prima. Ossia sul tasso di occupazione femminile: tra i più bassi (53,8 contro 67,4) della media europea. E sulla qualità del lavoro: la nostra percentuale di part-time involontario tra le donne è tra le più elevate. Poi bisogna investire sui servizi di cura che per ora sono in gran parte a carico delle donne. E, invece, si propone alle donne di lasciare il lavoro per occuparsi della cura della famiglia. Ma questa logica è sbagliata perché crea un esercito di pensionate povere.

Come valuta la posizione dei sindacati sulle pensioni?
Miope. Il problema sono i giovani. Già nella precedente crisi. Allora Angela Merkel li definì “una generazione persa”. Eppure, non ci siamo occupati di loro. I giovani hanno affrontato la pandemia con poco lavoro (il tasso di disoccupazione dei 15-24enni nel 2019 era intorno al 28 per cento, quasi il doppio della media dell’area dell’euro) e scarsa formazione (i Neet, ossia i giovani senza un’occupazione e un programma di formazione, erano al 23 per cento, contro il 12 per cento della media dell’area dell’euro). Eppure la composizione della spesa è tutta sbilanciata verso la parte previdenziale.

E anche sulla scuola si investe poco…
Abbiamo chiuso le scuole per ben 38 settimane. In Europa, hanno fatto peggio di noi solo Polonia e Slovenia (rispettivamente 43 e 47 settimane). In questo modo abbiamo perso capitale umano. Gli esiti dei test Invalsi lo dimostrano. Il 44% degli studenti della quinta superiore non arriva a un livello minimo di italiano, il 51 a quello minimo di matematica. La situazione dei maturandi è ancor più drammatica se si considera che il 49% finisce la scuola avendo acquisito competenze pari a quelle della terza media. Ciò si traduce in minore capacità di produrre ricchezza. Ecco, se non si investe sui giovani, sulla loro formazione, è difficile sostenere le pensioni che hanno in mente i sindacati.

Il reddito di cittadinanza sarà limitato. A suo avviso è una misura efficace?
Il reddito di cittadinanza è una misura necessaria, ma è stato disegnato male e introdotto in fretta, per le esigenze di consenso elettorale del M5S. Spesso le misure che distribuiscono risorse, una volta introdotte, seguono un percorso autonomo. Proprio come nel caso del Rdc. Sempre in costante crescita, sia per numero di nuclei interessati sia per importo mensile. Secondo i recenti dati Inps, in questi due anni, la platea dei beneficiari è sempre aumentata: quando la pandemia non c’era (tra aprile 2019 e febbraio 2020, il numero di nuclei percettori è passato da 512mila a 837mila), quando la pandemia era in corso (tra marzo 2020 e marzo 2021, il numero dei nuclei è passato da 906mila a 1 milione 152mila) e anche quando la situazione economica ha iniziato lentamente a normalizzarsi. A fine agosto, i beneficiari superavano 1 milione 224mila con un assegno medio di 576 euro, 10% in più rispetto all’importo iniziale. Nonostante una platea che cresce, il Rdc non va ai veri poveri, ossia famiglie numerose e stranieri. Questi criteri andranno rivisti.

E la parte delle politiche attive?
Non ha funzionato. Ma era prevedibile. Già nel marzo 2018 quando fu introdotto, si sapeva dai dati Anpal che solo un terzo delle persone era occupabile. Eppure, si è parlato solo di navigator (che non esistevano) e delle incredibili opportunità di lavoro (che non c’erano). Sapevamo dell’inefficienza dei centri per l’impiego. Eppure, non si è sentito il bisogno di implementare nessuna riforma: si è dovuto aspettare il Pnrr per iniziare a prevedere qualche cambiamento. Con i soldi europei.

Sul fronte delle politiche fiscali, il governo prevede di stanziare otto miliardi per interventi mirati sulle imposte a carico delle imprese e delle famiglie: che cosa ne pensa?
Che sono sempre a debito. Una scelta che stupisce considerando che il taglio delle tasse ha una natura permanente (si spera) e, di conseguenza, richiede coperture strutturali. I dettagli su come verranno impegnate le risorse stanziate non sono ancora noti. Saranno definiti in Parlamento. Trovare una sintesi con una maggioranza tanto ampia, tuttavia, non sarà facile. Tutte le forze in campo vorranno far valere le proprie istanze.

Questa manovra vale 23 miliardi di euro. I fondi del Pnrr arrivano a 230 miliardi. Quale relazione c’è tra questi due numeri?
I 23 miliardi sono maggiore indebitamento che andrà ad aumentare il già elevatissimo stock di debito pubblico. I 230 miliardi arrivano dai contribuenti europei. Una parte (circa 120 mld) è debito europeo, che costa di meno. Ma sempre debito è. A differenza di altri Paesi (a cominciare dalla Spagna che in una prima fase utilizzerà solo la parte dei sussidi), il governo ha deciso di impiegare tutte le risorse a debito. Una grande responsabilità nei confronti dei partner europei. Ma anche nei confronti delle giovani generazioni che si travaseranno sulle loro spalle questo debito. Usare bene queste risorse è fondamentale.

Serviranno a creare crescita.
Esatto, ma la crescita da sola non basta per ridurre il rapporto debito/Pil. Dal 2024 la politica di bilancio non sarò più espansiva. Sarà necessario registrare degli avanzi primari. In altre parole, bisognerà prevedere programmi a lungo termine di spending review per ricomporre la spesa – in particolare quella del welfare – e mettere le risorse dove servono di più: sui giovani, sulla formazione, sulle politiche sociali. Ma anche per ridurla, facendo spazio alle spese con maggior impatto sul prodotto interno lordo. E, in particolare, alle spese necessarie per manutenere le infrastrutture create con il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ma di questo, non se ne parla.

Tassisti, balneari, notai, ecc. Insomma, Ddl concorrenza: Draghi ha puntato sulla parola “trasparenza”, ma la sensazione è che in alcuni casi non sia ancora possibile toccare alcune posizioni di rendita. Lei che ne pensa?
La concorrenza è una delle tre riforme chiave del Pnrr, insieme alla giustizia e all’amministrazione pubblica. Sono tre riforme fondamentali. L’introduzione del Pnrr a firma di Draghi spiega che, negli ultimi venti anni, «la produttività totale dei fattori, indicatore che misura il grado di efficienza complessivo di un’economia, è diminuita del 6,2 per cento tra il 2001 e il 2019, a fronte di un generale aumento a livello europeo». Le riforme servono proprio ad aumentare questo indicatore.

Altrimenti?
Altrimenti si rischia che il forte rimbalzo del Pil a cui stiamo assistendo (si dovrebbe chiudere l’anno con un tasso superiore al 6%) non si trasformi in crescita strutturale e duratura. In altre parole, investire e spendere le risorse del PNRR non basta. L’obiettivo che si è posto il governo è quello di un “tasso di crescita strutturale dell’economia (ossia la ricchezza derivante da un uso efficiente di tutti i fattori produttivi) superiore a quello registrato prima della crisi sanitaria”. Anche per contenere l’aumento del debito. In diverse occasioni il premier ha parlato di incrementare “il tasso di crescita strutturale di 1/1,25 punti percentuali”.

Un obiettivo ambizioso…
Che si può centrare solo con le riforme. Basti pensare che dal 2002 ad oggi, l’aumento del prodotto interno lordo è stato dello 0,2 per cento, un sesto inferiore a quello dell’area dell’euro. Ma riformare è molto costoso politicamente. Ecco perché, finora, si è trovato consenso sugli investimenti del Pnrr, ma non sulle riforme da fare. Lo dimostra ciò che è avvenuto con la concorrenza. Una riforma che l’Europa ci chiede da anni. Necessaria per i consumatori, per le casse dello Stato, per i giovani che volessero entrare nel settore. Eppure, è stata rimandata. Non è un buon segnale.

Journalist, author of #Riformisti, politics, food&wine, agri-food, GnamGlam, libertaegualeIT, Juventus. Lunatic but resilient