La guerra è esplosa senza preavviso. Niente faceva sospettare che l’organizzazione che controlla la Striscia di Gaza, Hamas, avrebbe scatenato un attacco senza precedenti nella storia dello Stato ebraico. Le tensioni non sono certo mancate negli ultimi mesi, con attacchi da diversi fronti, lanci di razzi, operazioni delle forze di sicurezza israeliane. Eppure sembra ormai chiaro che intelligence e forze armate non fossero al corrente della preparazione di un assalto di questa portata, capace di bucare le difese israeliane, muri fisici e antiaerei, e seminare panico e morte nei villaggi e nei kibbutz, colpendo il territorio dello Stato ebraico via aria, via terra e via mare. I morti, nel momento in cui scriviamo, hanno già raggiunto le 800 unità. Ma il numero appare destinato a salire drammaticamente. E le persone sequestrate durante gli assalti compiuti sabato mattina sembrano essere circa 130.

La reazione israeliana

Il governo israeliano, dopo il trauma dell’attacco, ha reagito con il gabinetto di sicurezza del premier Benjamin Netanyahu che ha immediatamente deciso per lo stato di guerra. Le Israel defense forces hanno richiamato 300mila riservisti e avviato le operazioni per riprendere il controllo dell’intero territorio nazionale. Dopo l’attacco sono iniziati immediatamente i bombardamenti sulla Striscia di Gaza, con centinaia di raid aerei. L’obiettivo delle Idf è quello di distruggere più obiettivi possibili, ma questo, in una situazione come quella della Striscia e di Gaza City, implica inevitabilmente un alto numero di vittime: più di 500 secondo il ministero dello Salute dell’enclave palestinese, fra cui molti civili. Il ministro della Difesa Yoav Gallant ha ordinato “un assedio completo della Striscia di Gaza”. “Non ci sarà elettricità, né cibo, né carburante, tutto è bloccato. Stiamo combattendo contro animali e agiamo di conseguenza”, ha detto senza mezzi termini il capo della Difesa di Israele, che nello stesso tempo ha anche annunciato il rientro in attività di tutti i piloti dell’aeronautica israeliana per aumentare i raid.

Alle operazioni aeree si aggiunge il nodo del blitz via terra. Netanyahu ha deciso di muovere le truppe, e ha informato di questa scelta anche il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Per il primo ministro non c’è altra scelta e sembra che anche da parte del capo della Casa Bianca sia arrivata una sorta di semaforo verde. Le prossime ore saranno cruciali. I video mostrano numerosi carri armati delle Idf avvicinarsi al confine con la Striscia. E l’evacuazione dei residenti nelle aree di frontiera dimostrerebbe la volontà di procedere con una campagna terrestre che si preannuncia decisiva ma anche estremamente pericolosa.

I punti interrogativi sono molti. Il primo è naturalmente il rischio di un bagno di sangue, dal momento che l’attacco diventerebbe una guerra casa per casa in un’area ricolma di civili ma soprattutto in un territorio da anni sotto il totale controllo delle organizzazioni terroristiche che hanno già mostrato la loro capacità belliche. Per molti anni l’esercito israeliano ha preferito colpire dall’alto proprio per evitare il rischio di sacrificare uomini in quella che potrebbe trasformarsi in una trappola. Ma la ferocia dell’attacco sferrato su Israele sembra abbia fatto propendere il governo di Netanyahu per una reazione senza precedenti, al punto che lo stesso Gallant ha parlato di qualcosa che “sarà ricordato per i prossimi 50 anni”.

La sorte degli ostaggi

Preoccupa inoltre la sorte delle persone prese in ostaggio. Centinaia di cittadini israeliani che il governo vuole riuscire a salvare e riportare a casa il prima possibile. Il premier ha affidato il compito di recuperare rapiti e disperi al generale a riposo Gal Hirsh. Ex ufficiale della temibile Unità Shaldag, è uno dei comandanti più innovativi ma anche controversi delle forze armate israeliane, tra chi lo ritiene un genio visionario e chi invece lo considera uno degli artefici del fallimento della guerra del 2006 in Libano. A lui il compito di occuparsi di uno dei nervi scoperti del governo, quello di chi è nelle mani dei terroristi, non solo di Hamas ma anche del Jihad islamico. La loro sorte è appesa a un filo: molti osservatori temono che possano essere usati come scudi umani per frenare gli attacchi israeliani, altri ritengono che saranno usati come preziosa “merce di scambio” per i detenuti palestinesi nelle carceri dello Stato ebraico, ma c’è anche la tragica possibilità di esecuzioni pubbliche come estrema arma di ricatto. Minaccia già paventata dal portavoce delle brigate al-Qassam.

Secondo le fonti Usa, in questo momento a tenere i contatti con Hamas per liberare gli ostaggi è il Qatar, il cui premier avrebbe incontrato i dirigenti del gruppo palestinese mentre Doha si coordina con Washington. Intanto, mentre l’attenzione si concentra su Gaza, a preoccupare è anche il fronte settentrionale, e cioè quello del confine con il Libano. Nella giornata di ieri miliziani del Jihad islamico si sono infiltrati lungo la Blue Line mentre gli elicotteri israeliani hanno colpito la parte meridionale del Paese dei Cedri. Il timore è quello legato all’attivazione di Hezbollah, il partito-milizia sciita che è a tutti gli effetti una longa manus dell’Iran al confine con Israele.

Fino a questo momento il gruppo ha assicurato di non avere organizzato alcuna operazione e il ministro degli Esteri libanese, Abdallah Bouhabib, ha detto di avere ricevuto garanzie dalla milizia di attaccare solo nel caso in cui Israele “disturbi” il Libano. Uno stato di calma apparente che preoccupa tutta la regione così come anche le Nazioni Unite, schierate nel sud del Paese con la missione Unifil, che vede al suo interno anche un contingente italiano composto da un migliaio di militari che operano nel settore occidentale. Nel frattempo gli Stati Uniti hanno confermato il pieno sostegno a Israele: non solo garantendo tutte le forniture militari necessarie ma anche dando ordine alla portaerei Uss Gerald Ford di fare rotta verso il Mediterraneo orientale.