L’Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite, lo Human Development Index (Hdi), da trent’anni misura la qualità della vita dei vari Paesi non solo in base al reddito pro capite ma anche considerando il livello di istruzione e la durata di vita. Da due anni lo Hdi è stato perfezionato in modo da tenere conto anche della pressione esercitata da ciascuna nazione sugli equilibri del pianeta, includendo una misurazione pro capite sia delle emissioni di CO2 sia del cosiddetto material footprint, cioè il prelievo netto di risorse naturali. Il nuovo indice di sviluppo sostenibile è stato denominato Planetary pressures–adjusted Human Development Index (Phdi).

Dopo una prima classifica sperimentale pubblicata dalle Nazioni Unite nello “Human Development Report” del 2020, il Phdi è stato aggiornato nel successivo Rapporto 2021/2022 con dati più recenti sulle variabili ambientali e i risultati sono per molti aspetti sorprendenti ed eclatanti. Infatti, secondo le stime del 2021, diverse nazioni avanzate ben posizionate nella graduatoria del tradizionale Hdi precipitano di molte posizioni nel Phdi. Tra esse, arretrano sensibilmente Stati Uniti, Canada, Australia, ma anche Irlanda, Paesi Bassi, Finlandia e Svizzera: tutti Paesi che esercitano una pressione molto elevata sugli equilibri ambientali del pianeta. Al contrario, guadagnano parecchie posizioni in classifica i Paesi europei mediterranei, tra cui soprattutto Spagna e Italia, che presentano indici ambientali tra i migliori dei Paesi più sviluppati.

Sicché la classifica 2021 dello sviluppo sostenibile stilata dall’Onu rivoluziona completamente i canoni tradizionali di misurazione della qualità della vita. Infatti, al primo posto si colloca il Regno Unito, che era già ben posizionato nello Hdi ma che grazie al fattore di aggiustamento per le pressioni planetarie guadagna 15 posti; in seconda posizione sale la Spagna, che guadagna 24 posti; e al terzo posto troviamo l’Italia, che migliora la sua classifica di ben 25 posizioni. In aggiunta, nel Phdi 2021, la Francia è settima, migliorando di 21 posti, la Grecia sale al decimo posto, con un miglioramento di 22 gradini, e il Portogallo balza all’undicesimo posto, con un progresso di 27 posizioni. Dunque, i cinque maggiori Paesi europei mediterranei si impongono nel complesso come economie caratterizzate da uno sviluppo equilibrato in relazione alle esigenze di conservazione dell’ambiente e delle risorse naturali.

Sempre nelle prime dieci posizioni della classifica del Phdi 2021 troviamo la Germania (quarta), la Danimarca (quinta), la Svezia (sesta), la Svizzera (che rispetto allo Hdi scende però dal primo all’ottavo posto, perdendo 7 posizioni) e il Giappone (nono). Molto indietro, penalizzati dalle loro forti pressioni planetarie, si collocano invece i Paesi Bassi (ventisettesimi), la Finlandia (trentottesima), gli Stati Uniti (cinquantacinquesimi), il Canada (sessantesimo), l’Irlanda (sessantacinquesima) e l’Australia (novantunesima).
Tra i Paesi dell’Ue, le economie con i migliori fattori di aggiustamento ambientale sono, nell’ordine, il Portogallo, l’Italia e la Spagna. La Francia è nona. La Germania è soltanto decima.

Nonostante questi indici parlino chiaro circa lo sviluppo sostenibile dei maggiori Paesi del nostro continente, la Commissione europea spinge sempre di più l’Europa verso una sorta di “suicidio” manifatturiero in nome di un ambientalismo dogmatico e di obiettivi di transizione ecologica impostati a tavolino senza alcun riguardo verso la neutralità tecnologica e completamente sganciati dalla realtà. Mentre le altre aree del pianeta continuano a inquinare a piè sospinto.

Marco Fortis

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