Junzo Okudaria, Renato Cinquegranella e Raffaele Imperiale. Sono i tre principali latitanti ricercati dalla procura di Napoli. A riferirlo è lo stesso procuratore capo Giovanni Melillo nel corso di una conferenza stampa successiva allo spettacolare arresto del boss Antonio Di Martino, ricercato da due anni.

“Non ci sono più grandi latitanti sul territorio campano grazie all’azione investigativa svolta negli ultimi anni” precisa Melillo che poi elenca i nomi dei tre principali ricercati in tutto il mondo e che, presumibilmente, si trovano tutti all’estero.

Il primo, Junzo Okudaria, quasi 72enne, è considerato il responsabile dell’attentato avvenuto nel 1988 a Napoli, in Calata San Marco, a pochi passi da piazza Municipio. Quel giorno, era il 14 aprile, nel mirino finì un circolo ricreativo militare statunitense, United Service Organizations (USO). Alle ore 19:49 una potente autobomba esplose di fronte al club causando la morte di cinque persone e il ferimento di altre 15.

L’attacco, fatto nel secondo anniversario del bombardamento statunitense della Libia del 1986, fu commesso dai membri dell’Armata Rossa Giapponese (ARG) identificato successivamente in Junzō Okudaira, tutt’oggi ricercato dalle autorità italiane e statunitensi. Okudaira era già ricercato in Italia per un razzo e un attentato dinamitardo contro le ambasciate americana e britannica di Roma del 1987, dove nessuno era rimasto ferito.

“Una strage dimenticata per la quale non c’è neanche una lapide, un segno, mai un’occasione per ricordare quelle vittime” ricorda Melillo.

RENATO CINQUEGRANELLA – Inserito tra i sei latitati di massima pericolosità facenti parte del “programma speciale di ricerca” selezionati dal gruppo integrato interforze, Renato Cinquegranella è nato a Napoli il 15 maggio 1949. È ricercato dal 6 ottobre 2002 per associazione per delinquere di tipo mafioso, concorso in omicidio, detenzione e porto illegale di armi, estorsione ed altro. Dal 2018 è un ricercato internazionale, per arresto ai fini estradizionali. È condannato a scontare l’ergastolo per l’omicidio di Giacomo Frattini, detto ‘bambulella’, nello scontro nella Nuova camorra organizzata. “Alla vittima, dopo essere torturata, furono tagliate mani e strappato il cuore” ricorda Melillo che aggiunge: “Cinquegranella, che “diede supporto logistico anche ad assassini delle Brigate rosse che avevano appena ucciso il commissario Antonio Ammaturo”.

“Fu già arrestato una volta ma approfittò di un permesso per evadere e da allora è irreperibile” sottolinea Melillo.

Boss della camorra napoletana, il nome di Cinquegranella compare nelle cronache di uno degli omicidi che più ha scosso Napoli, il massacro del capo della Mobile Antonio Ammaturo e del suo autista, Pasquale Paola, il 15 luglio 1982 per mano delle Brigate Rosse. L’episodio confermò l’esistenza di un ‘patto scellerato’ tra le Brigate Rosse e i capi-zona della camorra del centro di Napoli.

L’OMICIDIO AMMATURO – Ammaturo era appena uscito dalla propria abitazione per recarsi in Questura con l’auto di servizio guidata dall’agente scelto Pasquale Paola quando due uomini, scesi da una vettura, gli spararono contro. Gli autori del fatto risultarono appartenere alle “Brigate Rosse”. Riuscirono a fuggire, ma furono arrestati alcuni mesi dopo insieme ad altri complici, implicati anche nel sequestro Cirillo (27 aprile 1981) e nell’omicidio dell’assessore Delcogliano (27 aprile 1982). Durante la fuga alcuni brigatisti rimasero feriti nello scontro a fuoco con i ‘falchi’ e furono aiutati nella fuga dai camorristi tra cui Renato Cinquegranella che avrebbe accolto nella sua villa di Castel Volturno (Caserta) i brigatisti feriti per consentire loro di curarsi e riprendere la fuga.

CUORE STRAPPATO E MANI TAGLIATE – Cinquegranella sarebbe coinvolto anche in un altro omicidio efferato, quello di Giacomo Frattini, il giovane affiliato alla Nco di Raffaele Cutolo torturato, ucciso e fatto a pezzi ventotto anni fa per vendicare l’omicidio in carcere di un fedelissimo del vecchio boss di Secondigliano, Aniello La Monica. Giacomo Frattini, detto ‘Bambulella’ fu trovato avvolto in un lenzuolo, decapitato, con il volto sfigurato e le mani e il cuore chiusi in un sacchetto di plastica. Per quel delitto finirono sotto processo anche Paolo Di Lauro, il boss Salvatore Lo Russo, suo fratello Mario Lo Russo, Luigi Vollaro esponente dell’omonimo gruppo di Portici, Renato Cinquegranella, già latitante, e i pentiti Luigi Giuliano e Pasquale Gatto.

IL BROKER RAFFAELE IMPERIALE – Altro elemento apicale ricercato dagli investigatori napoletani è Raffaele Imperiale, alias “Lelluccio Ferrarelle” o “Rafael Empire”. Nato il 24 ottobre del 1974 a Castellammare di Stabia (Napoli), Imperiale è considerato uno dei broker del traffico di droga a livello mondiale, affermatosi soprattutto grazie agli ottimi rapporti con il clan Amato-Pagano, i cosiddetti ‘Scissionisti’ o ‘Spagnoli’, che diedero il là alla faida di Scampia e Secondigliano con il clan Di Lauro.

Salito agli onori delle cronache per i due quadri di Van Gogh ritrovato in un appartamento di sua proprietà a Castellammare di Stabia e restituiti dai carabinieri al museo di Amsterdam dedicato al pittore olandese.

Imperiale da anni si rifugia a Dubai dove “scontiamo i difetti e i limiti della collaborazione prestata dalle autorità di altri Stati, in particolare gli Emirati Arabi Uniti” sottolinea Melillo. Il trattato di estradizione tra i due Paesi non è ancora entrato in vigore e al momento Dubai resta una delle mete preferite dai criminali.

RAFFAELE MAURIELLO – Altro esempio è quello relativo a Raffaele Mauriello, detto ‘o chiatto, 24 anni, figlio di Ciro, uno degli elementi apicali degli Amato-Pagano.

Mauriello, inserito tra i 100 latitanti italiani più pericolosi, è riuscito a sottrarsi alla cattura per concorso nel duplice omicidio del 20 giugno 2016 in via Giulio Cesare a Melito, roccaforte del clan Amato-Pagano, dove insieme a Domenico Amato (all’epoca 16enne e figlio di Rosaria Pagano, sorella del superboss Cesare), si rese protagonista dell’omicidio di Alessandro Laperuta, 32 anni, e di Mohamed Nuvo detto “Maometto”, 30 anni, uccisi da Amato per “dare l’esempio” perché  avevano “sgarrato” e dovevano essere puniti per le iniziative autonome che avevano intrapreso.

Mauriello, che si troverebbe anche lui a Dubai, è ricercato anche per il duplice omicidio, avvenuto il 14 marzo 2014 sempre a Melito,  in cui vennero uccisi Antonio Ruggiero e Andrea Castiello, fedelissimi di Mariano Riccio (genero di Cesare Pagano, nella faida interna al clan).

Domenico Amato e Raffaele Mauriello

 

 

 

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Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.