La singolare sentenza
La Cassazione ha deciso: l’accusa conta più della difesa
“Il consulente tecnico dell’Accusa è più attendibile di quello della Difesa”, potrebbe essere riassunta così la singolare sentenza della Cassazione Penale, Sez. III, 29 maggio 2020 (ud. 18 febbraio 2020), n. 16458, che mette nero su bianco ciò che nessuno aveva osato dire o, quantomeno, scrivere. In questa pronuncia, tanto assurda quanto pericolosa, si legge infatti, letteralmente, che «le conclusioni tratte dal consulente del PM (…) pur costituendo anch’esse il prodotto di un’indagine di parte, devono ritenersi assistite da una sostanziale priorità rispetto a quelle tratte dal consulente tecnico della difesa».
Non solo: al fine di chiarire definitivamente il concetto, palesando un inaccettabile pregiudizio nei confronti della Difesa, la Corte aggiunge che «gli esiti degli accertamenti e delle valutazioni del consulente nominato ai sensi dell’art. 359 c.p.p., rivestono (…) una valenza probatoria non comparabile a quella dei consulenti delle altre parti del giudizio». Si tratta di un colpo durissimo, l’ennesimo, inferto al principio della parità delle parti processuali, al rito accusatorio, al giusto processo. Ciascuna delle parti, infatti, compreso il Pubblico Ministero (che è parte del processo, vale la pena ribadirlo), deve potersi avvalere del contributo tecnico-scientifico di esperti, ai fini dell’accertamento di fatti e circostanze di rilevanza penale, in condizioni di parità con le altre parti processuali. Detta possibilità deriva da una duplice consapevolezza: la prima, relativa alla necessità di integrare le limitate conoscenze delle parti con specifiche competenze tecniche; la seconda, relativa alla possibilità di poter fornire, in ipotesi, una spiegazione alternativa di un medesimo accadimento mediante l’applicazione di metodi e regole tecnico-scientifiche differenti, che meritano tutte, ugualmente, di essere prese in considerazione.
La prova scientifica dovrà essere poi sottoposta, infatti, alla valutazione del giudice che sarà chiamato a valutarla sulla base del proprio libero convincimento, secondo gli ordinari meccanismi conoscitivi del processo penale. Egli sarà tenuto a motivare la ritenuta attendibilità della prova, anche quella di tipo scientifico, e a spiegare le ragioni per cui ritiene non attendibili le prove contrarie. Quest’onere di motivazione deriva dal valore del contraddittorio che, nel sistema accusatorio, deve essere inteso come metodo di conoscenza: ad un tempo solo, sia diritto dell’imputato che via maestra per l’accertamento. Sacrificare il principio di parità delle parti significa tradire questo valore del contraddittorio, che si trasforma così in una sorta di diritto a difendersi “se e quando possibile” anziché “come possibile”. Mi auguro che la Suprema Corte possa ravvedersi presto e affermare, così, che questa pronuncia rappresenta l’incauta espressione di un pensiero isolato, che non può e non deve trovare accoglimento nell’alveo del giusto processo.
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