Credo molto appropriato fugare dalla nostra mente la distinzione centro storico/periferie perché queste, a ben riflettere, sono fenomeni temporanei o, meglio, disagi da colmare. Oggi, all’interno della città metropolitana di Napoli, da una parte sembrano periferiche realtà che avrebbero invece capacità di porsi come significative centralità; da un’altra definiamo “periferie” aree di formazione abbastanza recente, caratterizzate da prevalenti monofunzionalità e assenza di monumentalità. Sono parti della città tristi, costruite per lotti, isolati e monadi edilizie. Queste “periferie” spesso hanno modesta densità, scarsa accessibilità, mancano di “effetto città”, non offrono agli abitanti la possibilità di scegliere fra alternative. Esprimono la “cultura della separazione”, soprattutto sono origine di disagi sociali e insoddisfazioni. Vi sono “mappe delle diseguaglianze” molto significative.

È improprio considerare centro storico e periferia come parti separate: le condanna peraltro a ricorrere a differenti strumenti, non solo urbanistici. L’obiettivo è unico: ovunque c’è esigenza di ambienti di vita piacevoli, sicuri, attrezzati. Nei vari contesti occorrono interventi acuti, a volte immateriali più che materiali: probabilmente ricorrendo ad attente soluzioni, nuove nei centri storici e antiche nella cosiddetta città nuova. La questione ha molteplici aspetti. Tentando una sintesi basata su un’ottica unitaria, credo che tra le priorità vi sia quella di affrontare i temi della mobilità nei loro diversi aspetti. Certo, c’è la vera messa in rete di quanto riguarda la mobilità collettiva in sede propria, la necessità di incrementarla e integrarla nei suoi nodi anche tramite “parcheggi di dissuasione”. Certo occorrono adeguamenti della viabilità a ogni scala.

Ma nell’ambito della città metropolitana considero prioritario – economico e fattibile – avviare, un piano di riduzione dell’inquinamento ambientale attraverso ambiti di “città dei pochi minuti”, obiettivi che altre città nel mondo cominciano a darsi da qualche anno.

Con il suo ormai dimenticato Piano quadro delle attrezzature (risalente al 1974-’75 e impropriamente abbandonato oltre 40 anni fa), Napoli è stata fra le prime grandi città a immaginare la riorganizzazione dei propri spazi e dei propri servizi collettivi in ambiti legati alla pedonalità. Nel 2003 Five Minutes City: Architecture of [Im]mobility ha teorizzato principi analoghi coniando uno slogan di successo: “città dei cinque minuti”. In Italia, la proposta di ristrutturazione del rione Libertà a Benevento e il Piano urbanistico comunale di Caserta (2007-2017) sono stati i primi strumenti urbanistici che hanno espressamente utilizzato questo slogan e lo hanno fatto evolvere (uno è stato, peraltro, l’unico esempio concreto discusso nel 2014 in occasione del primo Urban Thinkers Campus/Un-Habitat, The City We Need). In modi diversi ambedue affermano e sviluppano la “città dei cinque minuti” nella quale introducono sia i “luoghi di condensazione sociale” sia una rete di “navette ecologiche” a idrogeno verde tese a sottrarre la città al traffico automobilistico locale e a garantire facile accessibilità in ogni punto.

Con il piano 2017-2050, Melbourne ha avviato la sua riorganizzazione come “città dei 20 minuti”, già realtà in zone di Ottawa, Edimburgo e Utrecht. Nel febbraio 2020 – a breve distanza l’una dall’altra – la notizia che il sindaco di Parigi promette di trasformarla in “città dei 15 minuti“ e quella che un quartiere di Copenhagen (Nordhavnen, già oggi soprannominato “five minutes to everything”), avvalendosi di navette ecologiche, si accinge a realizzare la città sostenibile del futuro. Tre mesi dopo segue Milano 2020-Strategia di adattamento, mentre a Barcellona viene lanciato il Manifiesto por la reorganizacion de la ciudad tras el Covid-19 con quattro obiettivi chiave: riorganizzare la mobilità; (ri)naturalizzare la città; smercantilizzare gli alloggi; decrescita e riduzione dei consumi. Nel novembre 2020 – nella logica post-Covid – Urbanpromo promuove Abitare la prossimità, confronto – fra Barcellona, Copenaghen, Parigi e Milano – introdotto da un testo che ben chiarisce perché la “città dei 15 minuti“ non è la città dei borghi, la deriva nostalgica nella quale ci si stava impantanando poco prima. Napoli città metropolitana – peraltro proprio qui vi sono solide radici di queste tesi – può impegnarsi a tempi brevi in puntuali azioni per realizzare “la città dei pochi minuti” in tutto il suo territorio, magari sperimentandola per parti, cominciando dalle zone nelle quali sono più forti diseguaglianze e disagi. Riguarda certo le dotazioni di servizi di interesse pubblico, ma soprattutto riorganizzazioni e azioni sul “non costruito” e sulla qualità dello spazio pubblico. Napoli può essere la prima in Italia ad avviare un processo – lungo, che la impegnerà per molti anni, ma non per questo da accantonare – finalizzato ad annullare l’idea stessa di periferia.