Intervistiamo Lisa Noja, ex Parlamentare e Consigliera regionale di Italia Viva, relatrice della legge 227/2021, nota ai più come legge delega sulla disabilità, la cui sperimentazione è appena stata prorogata al 2027.

La legge 227/2021 prevede un netto cambio di visione per quanto riguarda le persone con disabilità, incentrato su un importante percorso di autodeterminazione: è la persona stessa a scegliere il suo percorso. Una vera e propria rivoluzione culturale…
«Questa è una delle riforme che l’Europa ci ha chiesto in ambito PNRR, quindi l’abbiamo preparata in poco tempo ma con grande coesione. È stata approvata all’unanimità da entrambe le Camere. Le risorse che si mettono a servizio delle persone con disabilità devono essere al servizio del progetto indipendente che si sceglie la persona: dove vuole, con chi vivere… sembrano cose scontate per tutti, ma per chi ha delle disabilità non è così».

Come si svolgeranno questi percorsi personalizzati?
«Dopo aver ricevuto la certificazione unica – anche secondo le linee guida dell’OMS – si passa da un’indagine sulla patologia e la percentuale di invalidità, a uno studio più funzionale: poi si decide qual è il grado di sostegno di cui la persona con disabilità necessita, con un progetto ad personam. Ad ognuno viene destinato un budget che può scegliere come spendere per vivere una vita, se lo vuole, il più possibile indipendente con l’aiuto di personale medico, badanti o autisti a seconda delle necessità. Insomma, la scelta di appoggiarsi a una struttura non sarà più un obbligo».

La legge prevede un anno di sperimentazione, non previsto nel testo di delega. Quando si è deciso di renderla una legge sperimentale e perché?
«La delega dava un termine per arrivare ad aver attuato l’intera delega. Oggi hanno introdotto una sperimentazione, giustificata dal fatto che questa modifica avrebbe comportato anche l’esigenza di capire come coordinare i nostri servizi e formare delle persone pronte ad agire in questa nuova situazione».

Si è tenuta da poco la riunione dell’Osservatorio per la disabilità, forse un’occasione persa per la Locatelli di annunciare l’emendamento che proroga l’anno di sperimentazione.
«Non è stato comunicato niente con il dovuto anticipo. Sono stati organizzati vari incontri per trattare altre questioni che toccavano il tema e nessuno ha saputo che questa fase sperimentale, che già temiamo – perché, se qualcosa non funziona, cosa succederà poi? – era stata soggetta a una proroga. Soprattutto in questa fase storica, in cui il mondo non sembra particolarmente sensibile al riconoscimento dei diritti, mi preoccupa l’idea che questa sperimentazione possa avere un esito negativo».

E il Governo, quindi?
«Il Governo non può prendere decisioni così importanti che riguardano persone con disabilità senza consultarsi né con loro, né con le loro rappresentanze e gli organi preposti, come ad esempio l’Osservatorio. Che una decisione così importante non sia passata dall’Osservatorio, è un evento senza precedenti».

Le amministrazioni potrebbero essere responsabili di questo ritardo? Cos’hanno fatto, in questi quattro anni per preparare la società a un probabile cambio importante di ruoli a livello di operatori sanitari?
«Non solo sanitari ma anche sociali e sociosanitari. Per me i problemi sono tre: prima di tutto c’è la sensazione che le persone con disabilità, possano sempre aspettare, e questo è il primo elemento che ha generato frustrazione. In secondo luogo, sembra ci sia anche una certa resistenza del sistema al cambiamento, perché è chiaro che si chiede ad enti locali e amministratori un cambiamento importate. Poi c’è un’altra questione, che questa riforma ha bisogno di risorse economiche che forse, non sono così semplici da trovare».

Lei crede che il Governo abbia sottovalutato gli interessi di medici di base, ASL, servizi sociali etc. e stia cercando di prendere tempo?
«È molto probabile, d’altra parte si sono presi molto (troppo) tempo per dei decreti attuativi per cui ora, naturalmente si trovano con l’acqua alla gola. Questa proroga, la sperimentazione non prevista, questo continuo agire con progetti pilota anziché riforme strutturali, francamente mi preoccupa molto. È come se mancasse una forte volontà politica, che è necessaria per una riforma del genere che smuove il sistema nel profondo, con un cambiamento che è anche culturale. Le associazioni di famiglie e di attivisti sono sconvolte dal fatto di dover attendere altri due anni. Non lo trovo accettabile».

Marianna de' Micheli

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