Avanti tutta
La Germania incatenata ai vincoli europei valuta il “Piano B”: ignorare le regole e comportarsi come quei Paesi che criticava

In America c’è ancora chi si illude: “La Germania spenderà, finalmente darà una mano alla ripresa globale”, si è lasciato sfuggire recentemente Scott Bessent, segretario al Tesoro degli Stati Uniti. Ma basta sollevare il cofano della locomotiva tedesca per accorgersi che sotto non c’è alcun motore acceso. Non ci sarà nessun bazooka fiscale, nessuna pioggia di investimenti pubblici. Non adesso, forse mai.
La radice del problema è antica e si chiama vincolo europeo: il famoso 3% di deficit rispetto al PIL, stabilito dal Trattato di Maastricht, è ancora lì a pesare come un macigno. L’anno scorso Berlino si è fermata al 2,8%, raschiando il limite massimo.
Chi guarda ai bilanci ufficiali vede numeri diversi? È perché Bruxelles somma tutto, compresi i fondi speciali fuori bilancio, quei trucchetti contabili che nessuno ha mai davvero vietato. È vero, l’ultimo Patto di Stabilità – il sesto, a contare bene – è un po’ più elastico. Consente deviazioni, purché si torni infine verso l’obiettivo sacro: un debito pubblico al 60% del PIL. La Germania è appena sopra quella soglia. Ma senza vincoli europei, il debito volerebbe all’80%, forse anche oltre, vista la crescita economica anemica – altro che locomotiva: qui siamo a un trabiccolo arrugginito.
Con tipica ingenuità, Berlino ha creduto di poter ammorbidire ancora il Patto, come fece quando impose i vincoli agli altri. A marzo, racconta Handelsblatt, l’ambasciatore tedesco presso l’Ue ha proposto una nuova riforma: risposta gelida. Peggio ancora è andata a Jörg Kukies, il ministro delle Finanze uscente, che ci ha provato durante una cena informale, ma ha trovato la porta sbattuta in faccia sia dai “frugali” del Nord, sia dai debitori del Sud. Perché tanta ostilità? Semplice: nessuno ha dimenticato la rigidità tedesca durante gli anni della crisi. Ora che Berlino ha bisogno di flessibilità, scopre che non trova amici. Il tempo dei sermoni moralisti è finito. Gli altri Paesi vogliono voltare pagina: l’attenzione è tutta sulla nuova era globale, dopo la tempesta Trump. E allora? I tedeschi – i soliti maestri dell’escamotage – sognano un “piano B”: comportarsi come la Francia, ignorare le regole, chiudere un occhio e andare avanti. Una tattica da vecchia Europa, ironicamente proprio quello che Berlino disprezzava.
C’è perfino chi, con un eccesso di furbizia, propone di giustificare nuove spese dicendo che faranno “aumentare la crescita potenziale”. Peccato che, secondo il ministero dell’Economia tedesco, questa crescita è prevista attorno allo 0,5% annuo. Una miseria, e una condanna implicita delle politiche economiche tedesche degli ultimi decenni. Non basta asfaltare un paio di autostrade o far arrivare i treni in orario per cambiare rotta. Il tanto sbandierato fondo da 500 miliardi di euro per le infrastrutture è spalmato su dodici anni: restano 40 miliardi l’anno, briciole. E quei soldi sono già promessi per mille altre voci, dal clima alla transizione energetica. Non basteranno certo a riparare strade e ponti fatiscenti, né a digitalizzare un Paese rimasto indietro come pochi nell’Europa moderna.
La modernizzazione della rete ferroviaria, da sola, costerà almeno 150 miliardi. La trasformazione digitale, un pozzo senza fondo. Non esiste vincolo di bilancio che tenga di fronte a questa realtà. Alla fine, la Germania dovrà imparare a fare quello che da sempre rimproverava agli altri: scegliere tra rigore e sopravvivenza. Oppure convincersi una volta per tutte della necessità di conferire alla Bce la funzione di prestatrice di ultima istanza. Una battaglia che potrebbe far comodo anche a Roma.
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