I tentativi di trovare un accordo di pace stanno diventando sempre più rari e dopo 14 mesi la guerra civile in Sudan sta mostrando il suo volto più feroce. Gli scontri fra le truppe regolari guidate dal generale Abdel-Fattah al-Burhan e le milizie paramilitari delle Forze di Supporto Rapido del generale Mohamed Hamdan Dagalo detto Hemeti, hanno abbandonato la capitale Khartoum, quasi completamente nelle mani dei governativi, ma continuano in diverse province.

Il genocidio in Darfur

La battaglia più dura è nel martoriato Darfur, del quale sono originari la maggioranza dei miliziani di Hemeti che qui hanno provocato un vero e proprio genocidio contro la popolazione africane autoctone. Una settimana fa nelle provincia di al-Jazira le Forze di Supporto Rapido hanno bombardato con artiglieria pesante un villaggio lasciando sul campo oltre 150 morti. Il comitato di resistenza locale Madani ha parlato di fosse comuni con centinaia di cadaveri a Wad-al-Noura nella parte nord della provincia orientale del Nord Darfur, una delle aree più colpite.

Il doppio gioco della Russia

Gli uomini di Hemeti dopo aver perso molti dei luoghi chiave del paese si sono riorganizzati lontani dalla capitale utilizzando il vicino confine con il Ciad come possibile via di fuga per gli attacchi dell’aviazione sudanese, rimasta fedele al generale al-Burhan. L’Egitto e l’Arabia Saudita, i due paesi che più di tutti si sono impegnati per ottenere una tregua, hanno ritirato le delegazioni da Jeddah dove nell’arco di questi 14 mesi si sono tenuti cinque diversi incontri. L’interesse internazionale è lontano dal Sudan dove invece la Russia mantiene fortissimi interessi e aiuta sia i governativi vendendogli armi che i miliziani ribelli che sono una creatura dell’ex Wagner Group, adesso ridenominato Afrika Corps.

L’Organizzazione Non Governativa statunitense Human Rights Watch ha pubblicamente parlato di pulizia etnica contro le tribù africane dei Masalit e dei Fur, un copione già visto negli anni quando il governo centrale di Khartoum reclutava fra le tribù arabe i cosiddetti Janjaweed (Diavoli a Cavallo) che terrorizzavano la popolazione locale con omicidi e stupri. Oggi l’obiettivo delle Forze di Supporto Rapido è quello di crearsi una base in Darfur da dove provare a marciare ancora una volta sulla capitale e rovesciare la giunta golpista di al-Burhan.

L’emergenza profughi

Intanto l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite ha parlato di oltre 9 milioni di profughi, di cui circa 2 milioni finiti nei campi degli stati confinanti come Egitto, Ciad, Etiopia, Sud Sudan o Eritrea e altri 7 dislocato in tendopoli improvvisate nelle periferie delle grandi città. L’intero popolo sudanese è a rischio di insicurezza alimentare e le infrastrutture sono distrutte in gran parte del Sudan, ma non si vede nessuna pace possibile all’orizzonte di questo martoriato paese.

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Matteo Giusti, giornalista professionista, africanista e scrittore, collabora con Limes, Domino, Panorama, Il Manifesto, Il Corriere del Ticino e la Rai. Ha maturato una grande conoscenza del continente africano che ha visitato ed analizzato molte volte, anche grazie a contatti con la popolazione locale. Ha pubblicato nel 2021 il libro L’Omicidio Attanasio, morte di una ambasciatore e nel 2022 La Loro Africa, le nuove potenze contro la vecchia Europa entrambi editi da Castelvecchi