Perché non possiamo fare a meno di Dante? È una domanda che ci si pone, forse inaspettatamente, anche tra chi si occupa per professione di soldi, tassi, interessi, prestiti, ricavi ecc. Le banche popolari che da sempre investono risorse ed energie nella salvaguardia e nella valorizzazione dell’enorme patrimonio di cultura, civiltà e bellezza del nostro Paese a partire dai territori nei quali operano e in collaborazione con le rispettive comunità locali, non hanno mancato l’appuntamento del 700° anniversario della morte di Dante organizzando diverse iniziative ed eventi che si sono tenuti e si terranno nei prossimi mesi.

Un esempio che vuole ricordarli tutti è quello della Banca Popolare di Sondrio che ha deciso di ricordare il 150° anniversario della propria fondazione con un importante evento dal titolo “DantedìValtellina – Nel 700° anno dalla morte di Dante” straordinariamente riuscito per qualità degli interventi di esperti, docenti e attori e per numero dei partecipanti. L’iniziativa, che si è tenuta la scorsa settimana, ha coinvolto, nella prima parte, gli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori sull’attualità del messaggio della Divina Commedia e sull’importanza della cultura nella vita delle persone. La seconda parte, incentrata sull’ultimo canto del Paradiso, è stata pensata per l’intera cittadinanza ed ha esaminato la figura di Dante e la sua opera da un punto di vista letterario, linguistico, filosofico, storico e, più generalmente, artistico.

Quello della Popolare di Sondrio non è stato un evento isolato nel mondo bancario. L’Anno di Dante ha, infatti, visto anche l’autorevole intervento del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco che, lo scorso 11 settembre al Festival Dante 2021 di Ravenna, ha tenuto un dotto e appassionato intervento dal titolo “Note sull’economia di Dante e su vicende dei nostri tempi”. Allo stesso incontro di Ravenna è intervenuto anche il Presidente dell’ABI, Antonio Patuelli, con un esplicito monito al mondo dell’economia perché tutti seguano l’ideale etico del «Catone dantesco per la rigida rettitudine per l’adempimento dei doveri per stare lontani … dall’ignavia, dagli avari e dai prodighi, dagli scialacquatori e dagli usurai, dai barattieri, dagli ipocriti, dai ladri, dai seminatori di discordia, dai traditori della Patria e dei benefattori». Cosa lega, dunque, l’attività e la cultura bancaria a Dante Alighieri?

Il giudizio del più illustre cittadino di Firenze sui “mercanti-banchieri” è certamente duro e risente del rapporto che egli ebbe con il potere politico, economico e finanziario del suo tempo che non fu certo semplice e lineare e che lo portò all’esilio «…sì come sa di sale/lo pane altrui, e com’è duro calle/lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale…». Ciò che più è attuale e utile del messaggio di Dante e del suo rapporto con l’economia, per una lettura critica dei nostri tempi, è la sua forte e, per certi versi drammatica, preoccupazione, per il disfacimento morale, politico e sociale del suo tempo originato dalla cupidigia delle persone, causa, questa, di avarizia, avidità, corruzione, ruberie, falsificazioni, usura. Il disfacimento di cui Dante è testimone, prima ancora che severo censore, accompagna, negli anni in cui egli è vissuto, una crescita economica e dei commerci straordinaria con l’esplosione delle interazioni tra attività commerciali e dei meccanismi di mediazione finanziaria e una crescita del commercio internazionale senza precedenti. Il Duecento, considerato da molti economisti il secolo della nascita della globalizzazione, vede avverarsi una vera e propria rivoluzione della finanza occidentale con la nascita e lo sviluppo delle corporazioni delle arti e dei mestieri, nonché l’introduzione di nuove e sempre più innovative tecnologie.

Uno sviluppo e una crescita così vorticosi che generano arricchimenti tanto rapidi e facili da preoccupare Dante: «La gente nuova e i sùbiti guadagni / orgoglio e dismisura han generata, /Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni…». E ancora, paragonando la Firenze del passato a quella a lui contemporanea: «Fiorenza dentro da la cerchia antica, / ond’ella toglie ancora e terza e nona, / si stava in pace, sobria e pudica. / Non avea catenella, non corona, / non gonne contigiate, non cintura / che fosse a veder più che la persona. / Non faceva, nascendo, ancor paura / la figlia al padre, ché ‘l tempo e la dote / non fuggien quinci e quindi la misura». Insomma la finanza, fine a sé stessa, l’arricchimento per l’arricchimento, ieri come oggi, non possono che creare situazioni di degenerazione morale prima ancora che politica ed economica.

Al Duecento seguirà il Trecento, secolo di crisi profondissime, di pandemie (sic!), fallimenti fino alla bancarotta del Comune di Firenze del 1345. Ogni paragone con il presente non è casuale. Agli anni ‘80-‘90 del secolo scorso, gli anni della grande espansione della globalizzazione economica e finanziaria e della crescita smisurata del benessere, sono seguiti, dal 2007 ad oggi, gli anni della più grande crisi economico-finanziaria del mondo occidentale e della prima grande pandemia globale. Le parole del Governatore Visco sono a tal proposto illuminanti: «La forza innovativa dell’analisi di Dante sta nel rilevare la natura globale dell’instabilità e la necessità quindi di un mutamento istituzionale adatto a farvi fronte». Esiste allora un insegnamento per chi “fa banca” che si può trarre da Dante e dalla sua opera? Al di là dell’alto profilo culturale e letterario del più grande poeta italiano come può una banca di territorio produrre, attraverso Dante, cultura e metterla a servizio della propria collettività? Come può mostrarsi nella condizione opposta a quella di chi trae la sua ragione di vita da un uso del denaro fine a sé stesso?

Forse, per una banca popolare, come quella di Sondrio o come le tante che operano ogni giorno con dedizione e in un rapporto di profonda connessione e di cooperazione con le proprie comunità, la risposta a queste domande è più semplice di quello che può sembrare. Una finanza al servizio dell’economia reale, come è sempre nella storia, non soltanto continua a essere utile e necessaria per la realizzazione del bene comune, ma resta, ancora oggi, un valido antidoto ai facili e rapidi arricchimenti che, ostacolando una effettiva circolazione e distribuzione della ricchezza, rappresentano un rischio per i redditi, l’occupazione e la stabilità dell’intero sistema economico. La separazione tra sviluppo della finanza ed economia reale, oltre al disfacimento morale, politico e sociale, è causa di squilibrio di quell’”ordine naturale” tanto caro a Dante e così necessario per lo sviluppo e il benessere delle nostre comunità, della società contemporanea.

Il sostegno alla crescita e alla salvaguardia dell’immenso patrimonio culturale del nostro Paese, unico al mondo per quantità, qualità e concentrazione, proseguirà, per le banche popolari, su altri versanti anche quando l’anno dedicato a Dante sarà concluso confermando così una tradizione consolidata e testimoniata, ad esempio nel 2020, dai circa 23 milioni di euro destinati da queste banche all’ambito artistico e culturale e per le manifestazioni locali (il 23 per cento del totale degli interventi a beneficio delle comunità e dei territori). Non in pane solo vivet homo è la risposta di Gesù all’invito del diavolo di trasformare in pane le pietre del deserto, per saziare la fame dopo 40 giorni e 40 notti di digiuno. Come ci ricorda l’evangelista Matteo l’uomo non vive di solo nutrimento materiale: ha bisogno anche di quello spirituale.