Editoriali
La politica è finita, così come la libertà e il libero arbitrio
Basta, non si può più fare politica. Game over. Senza stare a cercare le colpe e le ragioni, che sono pressoché infinite, limitiamoci a dichiarare la fine della politica. E’ da matti o da disperati oggi decidere di cercarsi un consenso per andare poi a rappresentare la volontà popolare nei luoghi preposti. La ragione alla fine è una: non ci sono più approvvigionamenti per pagare la democrazia. Privati o pubblici che siano, i rubinetti si sono chiusi, non c’è più ossigeno. E i partiti, senza soldi, sono solo dei cartelloni, delle insegne pubblicitarie sempre meno sfavillanti, esposte da leader sempre più appannati, consapevoli del vuoto alle loro spalle. Il sistema si tiene ancora insieme con la cartapesta, che costa poco. Presto finisce anche quella. E sarà il nulla.
Sentiremo la mancanza della politica, e di quella libertà che ha comunque garantito a tutti noi e alle nostre idee? Forse no, non ne avremo il tempo. Secondo la ben nota regola fisica in base alla quale quando si crea un vuoto esso viene immediatamente riempito, altri poteri interverranno a supplire. Le corti, in primo luogo: d’appello, costituzionali, i Tar e le mille diramazioni di un apparato giudiziario che da lungo tempo oltre ad applicare la legge se la scrive a piacimento – basta pensare all’abolizione della prescrizione o alle manette facili a coloro che sono sospettati di aver evaso il fisco – complice una classe politica ormai estraniata e inetta, senza immunità, senza dignità, terrorizzata dalle retate sempre più frequenti. È indecente, ormai, la confusione che regna fra i poteri dello Stato, dove prospera solo una burocrazia senza patria e senza scopo, se non quello di evitare responsabilità. Non è una situazione bella, e non è soltanto italiana, ma da noi prende forme più grottesche e pasticcione.
Ci sarà poi il potere dell’Europa, anche questo da tempo molto attivo nei nostri confronti. Abbiamo diecimila miliardi di euro di ricchezza e duemilacinquecento miliardi di debito pubblico. Quei diecimila fanno gola, e con la scusa che non sappiamo far di conto e siamo indisciplinati piano piano ce li prendono. Anche perché servono tanti soldi per tenere in funzione il veleno che fa marcire le banche stritolate dal grande bluff della finanza globale, e noi di soldi ne abbiamo ancora tanti. Il MES questo ci insegna. Ma questi sono piccoli poteri, se paragonati a quello vero, quello pervasivo che soverchia tutto e fa costantemente l’occhiolino ai nostri bisogni primari, conquistando ogni cosa di noi, persino i più irrisori tic o capricci. Le over the top, le multinazionali del consumo e dei dati, le Amazon, le Google, le Ali Baba e le Apple. Quelle potenze di fuoco – e di fatturato – che torreggiano sopra gli Stati, sopra le leggi, sopra il fisco, sopra tutti noi, che rendono confini e trattati ed elezioni innocui rituali di un tempo che fu, vacue convenzioni destinate ad un solo scopo: celare la realtà, ancora per un po’.
E la realtà è che già oggi non esistono più Stati né regole, se non quella dei più forti, quella loro, a cui tutti piegano la testa per incapacità, incompetenza o profitto: ti esaudisco ogni desiderio, ma tu in cambio mi lasci polverizzare ogni tua pertinenza fino a ridurti ad un nulla senza patria, senza Dio, senza identità, senza arbitrio. Eterodiretto da un algoritmo che preordina ogni tuo comportamento o scelta. A nulla serve lo Stato, a nulla serve la collettività, a nulla serve la democrazia se con un algoritmo riesco a farti fare ciò che voglio. È apocalittico? No, è reale. Già nel 1984, prima di internet così come la conosciamo noi, David Gibson, celebre autore di fantascienza, aveva immaginato nel suo libro Neuromante una società globale regolata dalla Rete in cui gli Stati esistevano solo formalmente, sostituiti di fatto dalle multinazionali tecnologiche che svolgevano ogni funzione sociale. È questo il futuro imminente verso cui ci stiamo dirigendo. E, paradossalmente, proprio la forza della democrazia potrebbe contrastare questa deriva – ammesso che la consideriamo tale, non possiamo escludere infatti che molti ritengano le multinazionali più efficienti degli Stati nel regolare il mondo.
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