La riforma dei decreti sicurezza, nella parte in cui non elimina ma abbassa le multe a quelle organizzazioni non governative, tiene in vita la pericolosa portata simbolica di quella normativa mantenendo la connotazione insieme arbitraria e propagandistica dell’originaria decretazione. Quel che non si dice con sufficiente chiarezza contro quell’apparato sanzionatorio è che le navi delle ong che salvano persone in mare fan quello che dovrebbero fare gli Stati, i quali sono pressoché tutti impegnati nella pratica opposta e cioè nel guardare senza far nulla mentre quelle affogano, magari a pochi metri dalla spiaggia piena di cristianità che sgrana il rosario ragionando sulla «correlazione evidente tra immigrazione e Covid» diagnosticata da ex ministro progressista.

Quei «taxi del mare», secondo la definizione grillina, sono oggi destinatari di uno sconto di pena se interferiscono nel dispositivo di sicurezza ammorbidito dagli emendamenti post elettorali ai decreti salviniani: non più multe milionarie, ma ribassate a decine di migliaia di euro. Ma appunto c’è da capire il senso di questo intervento pseudoriformatore, perché multare meno significa pur sempre punire quelle organizzazioni perché fan quello che le organizzazioni statali omettono di fare e cioè appunto impedire che quei disgraziati diventino cibo per i pesci.  Quando dal mare ereditiamo il corpo di un bambino con la faccia affondata nella sabbia abbiamo un momentino di trasalimento morale, ma non ci domandiamo quanti altri ne avremmo visti se quelle navi non avessero illecitamente perlustrato le acque sottoposte al presidio della propaganda sicuritaria.

Le multiamo un po’ meno, così mettono a bilancio quel rischio minorato: un po’ come il negoziatore mette in conto di pagare i rapitori per salvare l’ostaggio. Con la differenza che qui il riscatto non è richiesto da un’organizzazione criminale, ma dallo Stato. È piuttosto facile, e infatti è ricorrente, sentir obiettare che si tratta di contrastare l’immigrazione clandestina e che dunque occorre punire chi concorre a depotenziare quell’opera di contrasto. Ma l’immigrazione non è clandestina in sé: è clandestina perché una legge la qualifica così, ed è tutto da dimostrare che sia una legge giusta. Se metto in legge che un negro non può entrare in un bar e quello ci entra commette un illecito, giusto? Giusto: ma magari una domanda sul fatto che sia giusto quel divieto ce la facciamo?

Qui l’unica verità è che questi qui scappano dalla guerra e dalla fame e noi gli offriamo l’alternativa di tornarsene nei lager dai quali provengono o, ma proprio quando non possiamo farne a meno, di godersi per qualche mese la pacchia dei nostri centri di raccolta nell’attesa che un burocrate decida se a casa loro sono stati torturati abbastanza. Intanto gli altri continuano a morire e guai, cioè multe, se qualcuno prova a impedirlo: perché c’è caso che siano clandestini e non vorrai mica aiutarli a delinquere, cioè a sopravvivere.