L'intervento
Decreti sicurezza, dopo un anno le leggi di Salvini sono ancora lì…

Il primo consiglio dei ministri del mese di settembre avrebbe dovuto affrontare l’abrogazione dei decreti sicurezza. O meglio, l’abrogazione annunciata un anno fa, all’alba del Conte 2, diluitasi nei mesi successivi in una “profonda modifica”, poi una “riscrittura” infine una semplice “modifica”. Alla fine di luglio fu annunciato l’accordo raggiunto in maggioranza su tali modifiche, circolarono persino delle bozze che ottennero titoli altisonanti sul superamento dei decreti salviniani.
Fummo facili profeti a interpretare quella notizia come l’annuncio di un rinvio dell’intervento del governo. Peraltro un rinvio a dopo la pausa estiva, e in una fase di incertezza politico-elettorale come quella attuale, appariva già allora come ambiguo e funzionale alle promesse elettorali di chi volesse ribadire l’imminenza di tali modifiche, ma anche di chi volesse mostrare, al contrario, che l’impostazione di fondo in materia di immigrazione fosse nei fatti mantenuta. La permanenza di quei decreti riveste un’importanza politica profonda, non solo simbolica, se si considera che il periodo di tempo della loro vigenza sotto il Conte 2 è ormai quasi equivalente a quello sotto il Conte 1 ed esprime tutta la difficoltà di avviare una riforma in materia di politiche sull’immigrazione.
L’inversione di marcia nell’azione di governo rispetto all’operato del ministro Salvini, che aveva fatto di questo tema l’oggetto di una martellante strumentalizzazione demagogica, era attesa tra i primi interventi di questo esecutivo. L’attesa, come vediamo, si è dilatata a dismisura. Nel frattempo quelle norme – pure in parte non applicate o dichiarate illegittime per via giurisprudenziale – hanno prodotto e producono effetti negativi pesanti: hanno creato migliaia di irregolari nel nostro paese, hanno interrotto percorsi di formazione e di inserimento sociale, hanno causato marginalità e conflittualità sociale. Hanno colpito e smantellato la parte migliore del sistema di accoglienza realizzato negli anni in Italia, favorendo la realizzazione di grandi strutture di accoglienza, cioè le più inadeguate a realizzare l’inclusione dei cittadini stranieri e soprattutto a contrastare la diffusione dell’epidemia in atto.
Quei decreti sono stati e sono un manifesto del salvinismo, con l’accanirsi contro l’attività di salvataggio in mare delle Ong colpevoli di operare come “pull factor” rispetto alle partenze dalle coste nordafricane – falsità che seppure ripetutamente smentita è penetrata ed è tuttora presente anche nelle convinzioni degli apparati della nostra amministrazione – e con l’accanirsi direttamente sulle persone, ad esempio vietando l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo. Ma sono anche l’espressione di convinzioni profondamente radicate nel mondo politico italiano, lo dico per averlo constatato di persona e in modo ricorrente. Vale per il tema del pull factor, ma vale soprattutto per la convinzione che, tutto sommato, è vero che siamo tendenzialmente invasi e che questa invasione sia insostenibile.
Non si crede davvero che sia urgente modificare la Bossi-Fini creando canali regolari per l’ingresso nel nostro Paese, che sia necessario modificare la legge sulla cittadinanza, che sia opportuno investire in un sistema di accoglienza che rafforzi il vecchio modello dello Sprar. Il tutto mentre si lavora in sede europea per riformare il sistema d’asilo europeo. Non ci crede questa maggioranza, altrimenti non avremmo ancora davanti, vivi e vigenti, i decreti sicurezza a ricordarci che i migliori alleati di Salvini non stanno nel suo partito.
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