AI prezzo che paga il Partito democratico nella sua alleanza con il potere neofascista del Movimento 5 Stelle è già abbastanza alto se si considera ciò che quel patto di governo ha legittimato in economia, nella giustizia, nei rapporti internazionali e in quelli tra le istituzioni repubblicane. Ma il prezzo dovrebbe considerarsi semplicemente impagabile nel caso delle politiche sugli immigrati, null’altro che normative di stampo razzista assunte in omaggio alla promessa di difesa della patria e poi rigorosamente mantenute per non lasciare alla Lega di Matteo Salvini l’esclusiva di raccolta nel campo xenofobo. Non abbiamo fotografie dei plenipotenziari democratici che esibiscono sorridenti i cartelli messi a celebrare l’approvazione dei decreti sicurezza, la scenetta immonda del sandwich Salvini-Conte-Di Maio che sponsorizzava l’abolizione della povertà degli italiani mentre metteva fine alla pacchia dei negri in crociera verso il Paese che finalmente li rispediva nei lager nordafricani (i nostri, effettivamente, erano pieni, e non avevamo ancora aggiornato i protocolli per lo smistamento dei migranti nelle piantagioni schiaviste).

Ma la responsabilità di una politica discriminatoria non grava solo su chi mette la firma per introdurla, anzi forse è anche più odiosa quando viene condivisa da chi non fa nulla per cambiarne il corso, o almeno per provarci, con un’inerzia tanto più ignobile perché motivata dal timore dell’impopolarità. Per essere pessimi non serve chiamare le ruspe contro gli zingaracci, né fare come Beppe Grillo che raccomanda alla polizia di prendere a sberle “i marocchini che rompono i coglioni”: un modo meno pittoresco ma non meno colpevole risiede appunto in quella disponibilità a lasciare le cose come stanno e ad accettare che il proprio potere vi soprassieda. Che è un modo sufficientemente discutibile quando si tratta di infestare l’economia di un Paese, di distruggerne la giustizia o di mandarne in vacca il sistema istituzionale: ma è raccapricciante, e consegna a una condanna inappellabile, quando sacrifica i diritti e perfino la vita dell’umanità derelitta. I migranti sono nostri fratelli, perdio. E il cartello di un partito capace di chiamarsi democratico dovrebbe essere quest’altro: “Benvenuti, fratelli”.