Le politiche in tema di immigrazione e asilo sono state quelle su cui, durante il governo gialloverde, Salvini aveva imposto il segno più visibile della sua leadership e di una “legalità” concepita per contrasto con principi fondamentali di diritto e con obblighi giuridici, sistematicamente derogati e contraddetti da norme e provvedimenti di natura eccezionale. La cronicizzazione di queste politiche di emergenza – dai Decreti sicurezza in giù – anche nella stagione del governo giallorosso è la dimostrazione più clamorosa della perfetta continuità tra il Conte I e il Conte II e della sostanziale convergenza dell’agenda dei due esecutivi. Se il governo Conte II era nato per scongiurare i pieni poteri di Salvini, Salvini ha continuato ad esercitare un pieno potere, non solo su questa materia, anche sul nuovo esecutivo. La dottrina del “male minore” è giunta al curioso paradosso di legittimare le cose fatte da Salvini, purché a farle non sia più lui.

In questi giorni, a ritornare su questa clamorosa contraddizione è il rapporto sull’Italia di Amnesty International, presentato lo scorso 4 giugno, in cui si denuncia apertamente la continuità di «un’agenda politica di contrasto all’immigrazione, attraverso leggi e misure aventi l’obiettivo di limitare l’esercizio dei diritti e impedire alle persone soccorse in mare di sbarcare in Italia». Il Presidente di Amnesty International Italia Emanuele Russo, in occasione della presentazione del rapporto 2019-20, ha dichiarato che «l’avvicendamento tra due coalizioni di governo, nonostante alcuni iniziali e promettenti annunci, non ha prodotto una significativa discontinuità nelle politiche sui diritti umani in Italia, in particolare quelle relative a migranti, richiedenti asilo e rifugiati», ricordando che «per tutto l’anno le navi delle Ong sono state ostacolate da minacce di chiusure dei porti e da ingiustificati ritardi nelle autorizzazioni all’approdo e il 2019 si è chiuso col rinnovo della cooperazione con la Libia per il controllo dei flussi migratori». Peraltro vale la pena di ricordare che dopo tante polemiche e volgarità su 18 procedure aperte contro le Ong non c’è ad oggi nessuna condanna ma 5 archiviazioni, che delle 11 navi sequestrate 9 sono state dissequestrate, 2 hanno avuto multe esorbitanti da 300.000 euro per non adempienza ad alcune norme di sicurezza.

Particolarmente significativo di questa patologica continuità non solo di scelte, ma anche di alibi è stato a mio parere il Decreto interministeriale firmato all’inizio di aprile, in piena emergenza Covid, dai ministri De Micheli (Infrastrutture e Trasporti), Di Maio (Affari Esteri), Lamorgese (Interno) e Speranza (Salute) per il ministero della Salute. Il decreto stabilisce che, a causa dell’emergenza Covid, quelli italiani non si sarebbero più dovuti considerare porti sicuri (quali altri, allora, nel Mediterraneo?) e dunque non si sarebbe potuto autorizzare l’approdo per «unità navali battenti bandiera straniera» per «i casi di soccorso effettuati al di fuori dell’area Sar italiana».

Fermo restando l’esigenza di procedere anche con i richiedenti asilo a controlli e misure di sorveglianza sanitaria utilizzate per tutta la popolazione, che senso ha dichiarare non sicuri i porti italiani esclusivamente per i naufraghi raccolti da navi straniere? I porti diventano sicuri o non sicuri a seconda della nazionalità dell’imbarcazione che chiede di approdare e del suo “contenuto umano”? La ragione di questo contorsionismo giuridico è terra terra: impedire l’attività delle poche Ong rimaste nel Mediterraneo nel pieno della pandemia. Ma la cosa politicamente più significativa è che questo latinorum riecheggia perfettamente la retorica e lo stile salviniano: l’accusa alle Ong straniere di attentare alla sicurezza italiana e l’utilizzo di argomenti burocratici risibili per giustificare la discriminazione delle navi “straniere”.

D’altra parte, a orchestrare la polemica contro le Ong e contro i cosiddetti taxi del mare era stato proprio il Movimento 5Stelle che si tiene stretta l’eredità di una politica stupidamente “cattivista”, che rende contraddittori i tentativi italiani di rivedere le regole di Dublino e soprattutto di prevedere una riforma del diritto d’asilo nell’Ue che superi il criterio del Paese di primo ingresso, avanzata anche ieri dalla ministra Lamorgese ai suoi omologhi europei. È possibile richiedere e esigere solidarietà a fronte di un atteggiamento coerente con questa richiesta. Il problema della coerenza nei rapporti con l’Ue per il Governo Conte II è un problema generale, ma né sull’asilo, né sui sostegni alla ripartenza economica post Covid, si può pretendere di ottenere una solidarietà, che anziché essere un riconoscimento di ruolo e di potere alle istituzioni europee, suoni come un cedimento altrui alle nostre pretese nazionaliste.

Sullo sfondo di tutto questo rimane il rapporto con la Libia per il contrasto del fenomeno della immigrazione clandestina, che nonostante ipotesi di emendamento e rinegoziazione rimane in piedi, malgrado a non essere più politicamente in piedi siano gli interlocutori libici dell’Italia e malgrado non sia stato in alcun modo risolto il problema della cooperazione con autorità che hanno un doppio volto: di terminali di organizzazioni criminali e, allo stesso tempo, di espressione di poteri locali.

Mentre il M5S rivendica a proprio merito la continuità della politica sull’immigrazione, le forze politiche come il Pd, che rischiano di subire elettoralmente il prezzo di questa continuità, proseguono ormai da quasi un anno a promettere cambiamenti che non arrivano mai, ma che continuano a essere promessi. Al di là delle difficoltà interne alle forze politiche, che il piano della discussione su questi temi sia parallelo a quello della realtà e quindi destinato a non incontrarlo mai rende sinistramente dissociato il rapporto tra la politica e il governo, in un perenne gioco delle parti tra maggioranza e opposizione. Una sorta di gattopardismo all’incontrario, in cui anziché cambiare tutto perché nulla cambi, non si cambia nulla perché ogni cambiamento possa continuare a essere promesso a suggello di un patto futuro.

Per realizzare un’inversione di rotta, piuttosto che continuare con le promesse, bisognerebbe riprendere e tirare fino alle logiche conseguenze il “filo” rappresentato dal provvedimento di parziale regolarizzazione dei lavoratori stranieri, fortemente voluto dalla ministra Bellanova e favorito da una vera e propria emergenza nel settore agricolo. Quel provvedimento non rappresenta solo un primo passo avanti nella direzione giusta, ma anche una implicita denuncia della insostenibilità di un sistema di flussi, che non sono in grado di assicurare legalmente la forza lavoro richiesta dall’economia e dalle famiglie italiane.

Il modo migliore per dare ad esso seguito sarebbe riprendere rapidamente l’esame della proposta di legge di iniziativa popolare “Ero straniero”, per una riforma complessiva della normativa sull’immigrazione, promossa da una ampia coalizione di forze politiche e sociali e parcheggiata da troppo tempo presso la Commissione Affari Costituzionali di Montecitorio con relatore Riccardo Magi.