C’è una differenza non da poco nelle politiche sull’immigrazione messe in campo da questo governo rispetto a quelle di cui ha dato prova l’esecutivo precedente: ed è che gli altri lasciavano in mare “i negri” rivendicando il dovere di farlo e vantandosene, mentre il nuovo governo con innesto progressista ce li lascia senza farsi pubblicità. Che poi è in linea con quel che si faceva prima che il monopolio delle pratiche discriminatorie fosse appaltato a Salvini, quando l’immigrazione metteva in pericolo la “tenuta democratica” del Paese ed era quindi contrastata col finanziamento silenzioso dei lager libici: la democrazia che si protegge mantenendo stupri e torture oltre confine.

Il fatto che questa gente continui a mettersi in mare verso un Paese oppresso da un’epidemia che ha fatto trentamila morti dovrebbe insegnare qualcosa a chi pretende di risolvere il problema spiegando che qui non possono venire perché non c’è posto dove metterli, perché non c’è lavoro, perché prima gli italiani e via di questo passo, per non dire di quelli che davanti ai nuovi sbarchi ricominciano a strillare che non si tratta di profughi ma di ragazzoni muscolosi che vogliono farsi un giretto a spese nostre. Ma non c’è solo la reazione di questa retorica sconcia a contrassegnare l’atteggiamento italiano: c’è anche, appunto, la noncurante pervicacia con cui l’attuale compagine di potere riproduce la sostanza delle politiche pregresse, in primo luogo con la conservazione in purezza dei decreti salviniani e poi tramite il presidio democratico dei porti chiusi sulla scorta provvidenziale del Covid-19, il tutto con il trascurabile contorno dei disperati nuovamente lasciati liberi di annegare mentre giornali e televisioni registrano le quotidiane informative del governo sulle magnificenze del modello italiano.

Non era necessario attendere quest’emergenza sanitaria per capirlo: ma è esemplare che un’Italia deserta, senza lavoro per nessuno e a rischio di contagio per tutti, continui ugualmente a richiamare questi disgraziati in fuga. Perché non fuggono da un’ipotesi di povertà ma dalla certezza della morte per fame; non da posti dove i diritti individuali non sono perfetti ma da sistemi fondati sulla feroce negazione di ogni diritto. E tutto è preferibile, per quei disgraziati, rispetto alle atrocità da cui scappano: anche il rischio di affogare davanti alla chiusura dei porti, peraltro solo capace di far ripiegare la rotta di altre tinozze verso gli approdi incontrollati di mille spiagge italiane. I migranti sono identicamente maltrattati: e fregarsene non è meglio che compiacersene.