Oggi, nella Festa dei lavoratori, +Europa dedicherà dalle ore 15.30 una lunga diretta sui propri canali social (Facebook, Twitter, Instagram e Youtube) ai lavoratori “invisibili”, cioè agli stranieri irregolari che lavorano nelle imprese e nelle famiglie italiane, per sostenere la proposta della loro regolarizzazione insieme a alcuni esponenti del mondo politico, sociale, imprenditoriale e sindacale che condividono l’iniziativa. Oltre alla sottoscritta e al segretario di +Europa Benedetto Della Vedova, ci saranno Tito Boeri, già presidente dell’Inps, il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, Riccardo Magi, deputato di +Europa, Carmelo Barbagallo, Segretario della Uil, Giuseppe Massafra, Segretario confederale Cgil, Luigi Sbarra, Segretario Generale Aggiunto Cisl, Massimiliano Giansanti, Presidente di Confagricoltura, Ettore Prandini, Presidente di Coldiretti, il Professore Antonio Silvio Calò e Giuseppe Brescia presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati.

Perché lo facciamo? Per dare un tocco “esotico” o “internazionale” alla Festa del 1 maggio? No, per contribuire a una misura di buongoverno, di cui proprio l’emergenza Covid ha reso impellente la necessità. Come non mi stanco di ripetere, c’è un campo in cui le istanze di diritto, di crescita economica e di sicurezza possono trovare soluzioni coerenti e in cui nessun valore o interesse deve essere sacrificato a un altro. Questo campo è proprio quello della regolazione aperta e ragionevole del fenomeno migratorio. Se in molti altri campi la politica si trova di fronte a complicati trade-off, che rendono difficile contemperare obiettivi di uguale rilevanza, il fenomeno migratorio è oggi, in tutti i Paesi europei, e in Italia in particolare, quello che meglio si presta a interventi che accrescano i diritti dei cittadini e dei lavoratori, contrastino la criminalità comune e economica e incentivino l’offerta di lavoro e l’attività produttiva.

Il paradosso è che, per quanto sia semplice capire quel che sarebbe utile fare per raggiungere questi obiettivi, con guadagni per tutti e senza perdite per alcuno, tanto rimane difficile politicamente affrontare questa discussione, su cui continuano a gravare ipoteche ideologiche apparentemente insuperabili. È evidente che l’anti-immigrazionismo è una patologia opportunistica della sindrome nazionalista che affligge tutto l’Occidente e che va di pari passo con tensioni economicamente protezioniste, con fenomeni di intolleranza religiosa e con una diffidenza sempre più marcata verso le regole della società aperta.

Il pregiudizio verso gli immigrati in quanto immigrati, cioè in quanto “stranieri”, è la cartina al tornasole di una vera e propria crisi di identità dell’Occidente liberal-democratico, che si diffonde tanto più fortemente quanto più deboli sono le resistenze che incontra in quanti, pur riconoscendone la natura, ritengono di non dovere fronteggiare il pregiudizio, per non avversare i sentimenti dell’opinione pubblica. La trovo una scelta insensata, non perché le paure dei cittadini non vadano rispettate, ma perché, per contrastarle efficacemente, occorre contraddirne i presupposti ideologici, rilevarne gli errori o le falsità e imporre una lettura dei fenomeni più aderenti alla realtà dei fatti.
Da questo punto di vista, la realtà dell’immigrazione nel nostro Paese è di assoluta e quasi accecante chiarezza.

Gli “irregolari” sono in larghissima misura il prodotto di una legislazione che impedisce all’Italia di avere forza lavoro straniera (non comunitaria) in misura sufficiente a quanto è richiesto dal suo sistema economico e dai bisogni assistenziali delle famiglie. Gli irregolari sono, in larghissima misura, lavoratori. Irregolari, ma lavoratori. E irregolari perché irregolarizzabili. Ovviamente la loro condizione giuridica li trasforma in un esercito di riserva della criminalità, del caporalato economico, e di altre forme di sfruttamento, con effetti distorsivi anche sul mercato del lavoro regolare. Dunque, “regolarizzarli” è una soluzione che funziona complessivamente.

Il dibattito sulla regolarizzazione è positivamente riemerso nelle ultime settimane grazie a Teresa Bellanova, che ha denunciato come il Covid, impedendo gli spostamenti anche tra i Paesi intra-Ue, privi il sistema agricolo di circa un terzo della forza lavoro. I lavoratori stagionali sono tornati a casa e non possono tornare in Italia. Il che significa che l’agricoltura italiana – cioè i prodotti che vediamo ogni giorno sui banchi dei mercati e sugli scaffali dei supermercati – dipende dalla forza lavoro straniera.

La ministra Bellanova ha allora proposto di consentire agli irregolari presenti in Italia di emergere andando in soccorso al settore agricolo e di emanciparsi dalla tutela criminale di “caporali”, che ricattano tanto i lavoratori quanto gli imprenditori. Dopo la proposta di Teresa Bellanova è emerso immediatamente un altro settore in cui il lavoro irregolare è particolarmente diffuso, quello del lavoro domestico: sia in generale (oltre il 60% dei due milioni di lavoratori domestici sono “in nero”), sia con riferimento agli immigrati non comunitari privi di permesso di soggiorno.
Nulla esclude (al contrario!) che un provvedimento di regolarizzazione possa coinvolgere anche quanti, tra i circa seicentocinquantamila irregolari presenti in Italia, lavorano in altri settori economici. Nulla esclude inoltre che questa discussione su un provvedimento ad hoc possa aprire una riflessione sulla riforma complessiva delle leggi sull’immigrazione, per prevedere ingressi e permessi di soggiorno per ricerca di lavoro, che rendano più fluido e controllabile il fenomeno.