Populismo politico e giudiziario
Dal caso Tortora ai Gratteriboys, storie e fantasie dei “processi del secolo alla ‘ndrangheta”
Allo scoppio del caso Tortora pochi giornalisti si domandarono “e se Tortora fosse innocente?”, dubbio inderogabile per il vero giornalismo. Dopo 41 anni, possiamo affermare che la situazione è sensibilmente (e irrimediabilmente?) peggiorata. Populismo politico e giudiziario ci hanno portato sull’orlo dell’abisso, a rischio del collasso della democrazia e dello Stato di Diritto. Il mondo del giornalismo, se siamo a questo punto, ha indubbiamente pesanti responsabilità. La pericolosa sudditanza dei cronisti giudiziari contemporanei ai pubblici ministeri sta diventando un serio problema, non solo per la qualità del giornalismo in sé, ma per la tenuta stessa della democrazia.
La Calabria è il miglior contesto per la rappresentazione di questa degenerazione. Allo scattare di blitz, arresti e grandi operazioni di Polizia, decine di cronisti graditi alla Procura riversano nella rete, sulle pagine dei giornali e nei circuiti televisivi, suggestive intercettazioni audio e trascrizioni, spesso decontestualizzate, utili a costruire il thriller giudiziario: un poderoso network a sostegno dei teoremi dell’accusa, arricchito da Podcast e addirittura format che prendono il nome delle operazioni più note, come nel caso di “Rinascita Scott”.
Il beneficio del dubbio, faro del giornalismo di qualità, scompare a favore delle teorie e delle carriere dei PM titolari delle inchieste. I “cronisti del sistema”, dunque, anche di fronte al 50% di proscioglimenti degli imputati coinvolti, intervengono per salvare la faccia alla Magistratura, piuttosto che richiamarla alle proprie responsabilità.
Il 3 dicembre 2013 la DDA di Catanzaro avvia l’operazione “Insula” e arresta l’ex sindaca di Isola Capo Rizzuto, Carolina Girasole, un’icona Antimafia. La stampa, che fino a qualche giorno prima la incensava, diventa tiepida. Contro di lei si scatena, invece, con un certo accanimento, l’editoria vicina al centrodestra, con metodi, però, uguali alla stampa giustizialista contigua al centrosinistra. “Non è possibile … mi hanno condannato e distrutto a mezzo stampa …” dichiara la Girasole con amarezza. L’inchiesta naufraga in primo grado: quasi tutti assolti. Ma, tra ricorsi e controricorsi in appello e cassazione, ci sono voluti sette lunghi anni per assaporare il riscatto dell’assoluzione piena nel silenzio di quei cronisti che le avevano conficcato nelle carni i chiodi del Golgota dell’antimafia editoriale di convenienza.
All’alba del 26 luglio 2013, questa volta a Lamezia Terme, scatta l’operazione Perseo: 65 arresti di nomi eclatanti: avvocati, politici, imprenditori. Coinvolti anche il vicepresidente della Provincia ed un senatore, per il quale era stato chiesto l’arresto. Le dichiarazioni si accavallavano, quelle degli inquirenti con quelle della stampa dedita alla letteratura antimafia. Il processo si compone e si scompone in più tronconi, con assoluzioni e condanne e, tra rinvii e ri-celebrazioni, il risultato è sconvolgente: più del 50% degli indagati assolti, sebbene le notizie di stampa anestetizzino il dato.
Rinascita Scott è la max-operazione condotta dalla DDA di Catanzaro targata Nicola Gratteri, svoltasi all’ Alba del 19 dicembre del 2019, con oltre 300 arresti tra nomi eccellenti della politica e del professionismo calabrese. La sua narrazione è stata una imponente operazione di marketing editoriale. I cronisti, in particolare i cosiddetti Gratteriboys, si sono scatenati per mesi, facendo a gara nel pubblicare intercettazioni, indiscrezioni e retroscena degni delle più quotate fiction.
Eppure, quello che l’ex procuratore di Catanzaro ha cercato di spacciare per il “processo del secolo alla ‘ndrangheta”, si è ridimensionato clamorosamente nella sentenza di primo grado. Qualche testata si è spinta fino a provare a nascondere i numeri, nel maldestro tentativo di spacciare quella sentenza per un successo. La procura aveva chiesto 4350 anni e ne sono stati comminati meno della metà. Molte richieste sono passate da circa 20 anni a meno di due anni. Il 40% degli imputati è stato assolto. Per i fantasiosi narratori della Calabria giudiziaria: “regge il quadro accusatorio”.
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