Povero procuratore Gratteri, se gli scoppiasse nelle mani la sua creatura, quel processone “Rinascita Scott” nato con il blitz del 19 dicembre 2019 e che avrebbe dovuto renderlo più famoso di Giovanni Falcone. Dopo la ricusazione della presidente Brigida Cavasino e di una delle due giudici laterali, Gilda Danila Romano, sancita da un’ordinanza della corte d’appello di Catanzaro in seguito all’iniziativa di un imputato, saranno nulli tutti gli atti compiuti dal tribunale a partire dal 5 marzo 2021. Per capire il perché di quella data occorre fare qualche passo indietro. Fino a quel blitz del 19 dicembre 2019 con 340 arrestati e 400 indagati, e alla pompa magna mediatica che lo aveva accompagnato. Con la conferenza stampa dello stesso procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri che annunciava non solo di aver sgominato il vertice della ‘ndrangheta, ma anche e soprattutto di aver individuato e colpito quella zona grigia (quella in cui Falcone non ha mai creduto) che fungeva da cinghia di trasmissione tra i boss e la società civile. Poi in realtà tutto si riduceva all’arresto di un paio di legali, di cui uno gravemente malato. Ma i riflettori venivano puntati da subito sull’avvocato Giancarlo Pittelli, perché era un personaggio famoso anche come politico, essendo stato parlamentare. Ma le cose non andarono da subito come gli uomini della Dda avevano sperato. Tra giudici delle indagini preliminari, tribunali del riesame e corte di cassazione, molti provvedimenti erano presto evaporati. Ecco allora il secondo blitz dal nome “Imponimento”, che consentiva, dopo che era stata allestita una maxi-aula a Lametia, di imbastire infine il maxiprocesso, il primo in Calabria, a coronamento del sogno di smontare la regione e poi ricostruirla come fosse un Lego.
Il problema delle incompatibilità dei giudici viene posto da subito, fin dai primi giorni del processo. Ed è sorprendentemente proprio la Dda, cioè la procura “antimafia”, a fare la prima mossa, tirando il calcio dell’asino alla presidente del collegio Tiziana Macrì. Grande sorpresa ha accompagnato in quei giorni il gesto degli uomini di Gratteri, perché era stata presa di mira una giudice stimata da tutti, lontana dalle correnti sindacali e dai convegni in cui vanno a fare la ruota del pavone tanti magistrati. E soprattutto imparziale. Come vedremo nelle vicende che seguiranno, motivi di ricusazione nei confronti della presidente, come delle due giudici laterali, in realtà ci sarebbero stati, perché proprio quelle tre magistrate avevano costituito il collegio di un altro processo, chiamato “Nemea”, un ramo collaterale di “Rinascita Scott”, in cui erano anche presenti alcuni imputati di ambedue le inchieste. Si tratta proprio del processo che può far saltare in aria oggi tutta quanta l’operazione investigativa sulle cosche della ‘ndrangheta in Calabria.
Ma il fatto singolare è che l’azione della Dda aveva messo nel mirino solo la presidente Macrì. Tra l’altro la ricusazione era apparsa da subito poco fondata, anche se convalidata dalla corte d’appello di Catanzaro. La magistrata nel 2018 quando era giudice per le indagini preliminari aveva autorizzato la proroga di alcune intercettazioni, con una motivazione in cui si alludeva a all’organizzazione di stampo mafioso. Che è poi il vero collante su cui si fondano tutte quante le indagini della procura di Catanzaro. Era parso singolare questo argomento, anche perché la cassazione, con pronunciamenti costanti, ha sempre distinto tra la responsabilità del giudice che dispone l’autorizzazione a intercettare e quella di chi si limita a consentire una proroga. Perché la Dda non ha ricusato Tiziana Macrì in quanto presidente del tribunale che aveva emesso la sentenza del processo “Nemea”? Solo ora è chiaro: perché avrebbe dovuto ricusare anche le altre due giudici. Che evidentemente godevano di maggiore stima da parte della procura. Che cosa dobbiamo dunque pensare di questa differenza di trattamento? Certo, quel ramo laterale della mega-inchiesta del procuratore Gratteri non era andato proprio bene per l’accusa: sette condanne, ma anche otto assoluzioni. E tra l’altro, grazie a quella sentenza due degli assolti erano anche usciti definitivamente anche dal processo principale. E dei due che avevano scelto il rito immediato, solo uno era stato condannato. Cioè il cinquanta per cento di quel che aveva chiesto il rappresentante dell’accusa. Forse questa sconfitta del procuratore Gratteri era stata intestata alla sola presidente del collegio giudicante del processo “Nemea”?
Se torniamo a oggi, ritroviamo ancora lo stesso dibattimento, nato da un blitz dell’ 8 marzo 2019 contro il clan Soriano di Filandari , quasi una prova generale di quello con centinaia di arresti del 19 dicembre. Finito con un disastro per l’accusa perché, non solo il numero degli assolti superava quello dei condannati, ma anche perché a questi ultimi le pene erano tate dimezzate rispetto alle richieste. Se la presidente era Tiziana Macrì, la giudice inflessibile e imparziale in seguito ricusata dagli uomini dell’ “antimafia”, non dimentichiamo che le due giudici laterali erano Brigida Cavasino (che ha poi preso il posto della dottoressa Macrì alla presidenza del tribunale che giudica “Rinascita Scott”) e Gilda Danila Romano. Se fossero state ricusabili, lo sarebbero state tutte e tre. Invece la procura di Gratteri fece un’altra scelta, quasi un’operazione chirurgica. Incomprensibile, un anno e mezzo fa.
Ma hanno provveduto gli avvocati. Una decina. Ma uno è andato a segno, il difensore di Giuseppe Accorinti, considerato uno dei tre vertici della ‘ndrangheta vibonese. Il quale ha ricusato le due giudici del processo “Nemea” (Tiziana Macrì era ormai fuori gioco) davanti alla corte d’appello di Catanzaro, che ha in un primo momento respinto la richiesta. Ma poi la cassazione ha invece accolto l’istanza e deliberato un annullamento con rinvio, che è infine sfociato nell’accoglimento della ricusazione da parte di una seconda corte d’appello. Con decisioni ballerine, perché andrebbe anche ricordato il fatto che le due magistrate avevano presentato una richiesta di astensione, che era però stata respinta prima dal tribunale di Vibo Valentia e poi dall’appello di Catanzaro. Il risultato è che, con l’ultima decisione di due giorni fa, che avrà effetto immediato anche se la procura potrebbe presentare un altro ricorso in cassazione, saranno dichiarate inefficaci tutte le decisioni del tribunale a partire da 5 marzo 2021, cioè dal giorno in cui sono stati depositati gli atti del processo “Nemea”. Una catastrofe, per il “Rinascita Scott”, perché la decisione potrebbe avere effetti a cascata, con la possibilità di arrivare alla prescrizione e anche alla revoca delle misure cautelari per decorrenza dei termini.
La possibilità di una vera deflagrazione di tutto il processo è supportata da una recente decisione della cassazione a sezioni riunite (sentenza del 16 luglio 2020 numero 37207), la famosa “sentenza Gerbino”, dal nome di un imputato per associazione mafiosa e narcotraffico che aveva ricusato il suo gup il quale, nelle more della decisione, lo aveva rinviato a giudizio. Le sezioni riunite della cassazione, innovando anche rispetto a decisioni precedenti, aveva riscontrato nel magistrato “un difetto di capacità particolare a giudicare”, attribuendo la sanzione di nullità per mancanza di imparzialità del giudice anche ad atti che non avevano natura probatoria, allargando quindi il cerchio delle possibilità a tutti i provvedimenti giurisdizionali con valenza di decisione. Questioni di tecnica giuridica e processuale, che il procuratore Gratteri e i pm della Dda dovrebbero conoscere e su cui sarebbe stato bene avessero riflettuto, prima di compiere l’operazione chirurgica con cui avevano allontanato la giudice Tiziana Macrì, quella considerata inflessibile e imparziale.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.