Per ben due numeri consecutivi di PQMquesto è il primo– vi parleremo dei più clamorosi flop nella storia delle indagini giudiziarie calabresi di questi ultimi 25 anni. Un rutilante e francamente impressionante succedersi di immaginifiche indagini, connotate da denominazioni buone per le serie televisive, per media e social assetati di eroiche imprese antimafia da celebrare con esaltato entusiasmo, e per gli allocchi.

“Decollo Ter Money”, “Eiphemos”, “Sud Ribelle”, “Insula”, “Marine”, e così via titolando inchieste giudiziarie costellate di arresti a go-go, lunghe detenzioni, anni di processi, tonnellate di titoli ed articoli che urlano la colpevolezza degli indagati e la mummificano vita natural durante, concluse immancabilmente con esiti perfino catastrofici per l’Accusa. Mettiamo in fila i numeri, niente di più e niente di meno. E dato che i numeri, è vero, vanno anche letti ed interpretati, leggerete anche di indagini mutilate dalle assoluzioni proprio nella parte che, negli intenti dell’Accusa, doveva qualificarle, quella tanto ambita, quella che ormai non può e non deve mancare in ogni indagine che si rispetti: la commistione tra mafia e politica.

Aprire gli occhi sulla realtà

Ora, già questo dovrebbe bastare ed avanzare, nel quotidiano dibattito sulla giustizia nel nostro Paese, ed in quello più spinoso e delicato della pervasiva diffusione delle organizzazioni criminali nel tessuto istituzionale oltre che economico, per aprire una riflessione seria ed onesta, innanzitutto nel mondo della informazione. O si contestano questi numeri -e vi invitiamo ad attendere anche il secondo numero- o forse è venuto il momento di aprire gli occhi sulla realtà. Una realtà tremenda, fatta di vite e reputazioni di persone infine riconosciute come innocenti, ma irrimediabilmente maciullate da un sistema malato. Un sistema mediatico-giudiziario che, per un riflesso ormai divenuto immodificabile, identifica la verità dei fatti con la originaria ipotesi accusatoria.

Quella Procura della Repubblica ha operato duecento arresti di mafiosi, imprenditori collusi e politici asserviti, e questo basta per magnificare la natura certamente virtuosa di quella operazione e per certificare come assodato e non controvertibile il quadro criminale che essa avrebbe disvelato. Poi nessuno segue più lo sviluppo (certo, esasperatamente lento) delle indagini ma soprattutto del processo, mentre da subito i primi scricchiolii, le prime ordinanze e sentenze demolitorie vengono puntualmente silenziate, perché guai a dubitare, delegittimandolo, di chi “combatte la mafia”.

I naufragi processuali

Ma quelle che raccontiamo sono storie non solo di naufragi processuali che, in questo mondo al contrario, magicamente edificano carriere giudiziarie leggendarie, invece di demolirle come avverrebbe in qualunque altra professione. Queste sono anche e soprattutto storie di vite, famiglie, attività imprenditoriali e professionali mandate in discarica con un tratto di penna, rifiuti sociali, disperazione seminata con tracotante ed impunita baldanza.
Ecco perché abbiamo voluto impegnarci in questo alla fin fine semplice racconto che nessuno però osa fare, scritto non da noi ma dai giudici che hanno infine pronunciato le sentenze in nome del popolo italiano. Un racconto che allora, tra tanti titoli inutilmente minacciosi e tronfi di quelle epiche indagini, merita -esso sì- un nome che difficilmente potrà essere contestato: “Operazione Verità”. Buona lettura.

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Avvocato