“Ideologia sono le idee dei miei avversari”, diceva Raymond Aron. Se guardiamo ai documenti e alle dichiarazioni programmatiche della destra di governo, vi ritroviamo tutte le caratteristiche salienti dell’ideologia: una volontà polemica alla costante ricerca di un nemico; l’aspirazione a creare una nuova egemonia impadronendosi di tutte le leve della cultura; il bisogno di affermare e promuovere la propria identità in modo da imporre un diverso orientamento, tanto alla politica quanto alle dinamiche sociali; la visione di un ordine nuovo capace di superare contrapposizioni ritenute ormai anacronistiche.

Tutto ciò si completa, in aggiunta agli interessi materiali che ne sono alla base e che forniscono a ogni ideologia la propria specifica ragion d’essere, con il ricorso sistematico a passioni e a sentimenti destinati a favorire il coinvolgimento emotivo di aderenti, di simpatizzanti, nonché del più alto numero possibile di cittadini. A differenza, però, di ideologie particolarmente vituperate come, ad esempio, quella socialista (che si nutrivano della speranza e dell’aspettativa fiduciosa nel “sol dell’avvenire”), l’ideologia della destra incorpora in maniera organica pulsioni e meccanismi di proiezione dai tratti regressivi e antisociali: frustrazione, rabbia, risentimento e soprattutto paura; quest’ultima brandita come uno spauracchio di fronte a pericoli per lo più immaginari, a cominciare dai migranti, i clandestini, gli invasori che spianerebbero la strada a una non ben definita “sostituzione etnica”.

Il fatto che la destra di governo si professi post-ideologica e si faccia vanto del suo atteggiamento “realistico” e votato alla concretezza è smentito infine, in modo questa volta plateale, dall’uso (questo sì!) ideologico di concetti come “Dio, Patria e Famiglia”, Nazione o Popolo. Si tratta certo di parole piene di valore, ma che vengono impiegate come armi polemiche nel modo tipico dell’ideologia: creare un nemico al quale addebitare difficoltà, ostacoli e i propri eventuali fallimenti. Oppure, si pensi a un concetto come quello di conservatorismo, un’ideologia dai tratti quanto mai vaghi e generici, o a quello di sovranismo, che demanda al popolo il compito di darsi un’identità istituzionale a tutela delle sue caratteristiche distintive e dei suoi interessi strategici, cosa che si configura come un costrutto altrettanto vago dal momento che può essere declinato sia a destra che a sinistra. Si tratta certo di costruzioni retoriche che funzionano da compensazione simbolica e valoriale rispetto a pratiche ben più prosaiche di occupazione del potere e di sottogoverno.

Ma che, in positivo, segnalano il fatto che l’ideologia, anche quando, come nel caso delle posizioni della destra di governo, rifiuta di confessarsi tale, rappresenta una forma di pensiero che risponde a un bisogno che è tanto più acuto quanto più viviamo in un tempo di “policrisi” come il nostro: disporre di un pensiero pratico e orientato all’azione, in modo da restituire alla politica la possibilità di incidere sui poteri economici e sul potere sempre più incombente della tecnologia. È a dir poco improbabile che l’ideologia di questa destra possa servire a tale scopo. Ma la sua plastica inadeguatezza rispetto agli automatismi sistematici che ci sovrastano non fa venir meno la necessità di mobilitare un intreccio di sapere e potere più adeguato ai tempi e, sperabilmente, meno intriso di spirito autoritario: una nuova narrazione, se non una vera e propria ideologia, capace di guardare al là dell’immediatezza del presente in nome non dell’Italia (e dell’Europa) così com’è, ma di una prospettiva in grado di promuovere un’idea di futuro come speranza progettabile. Ciò che infatti salvaguarda e rende vitali le democrazie è la loro necessaria proiezione in avanti.

Edoardo Greblo. Luca Taddio

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