Si parla di ritorno al centrosinistra, trascorsi dieci giorni dal voto europeo, per l’allinearsi di tre condizioni non scontate. La prima è che il Pd torna a crescere. E attenzione: a trainarne la ripresa sono stati i voti dei riformisti, sindaci e amministratori. Con Schlein spesso terza sul podio delle preferenze, per renderle chiaro chi conta negli equilibri interni. La seconda è che il M5S ha conosciuto una sconfitta clamorosa, il punto di caduta più basso degli ultimi undici anni. Chiudendo il ciclo populista e innescando un processo interno a Giuseppe Conte ad opera di Beppe Grillo e di Marco Travaglio. Due che di processi se ne intendono. Il terzo è che i riformisti – Azione, Italia Viva, +Europa – usciti sconfitti dall’essersi divisi, hanno due strade: unirsi tra loro o unirsi singolarmente con altri. Segnatamente con il Pd.

Che può cambiare pelle grazie al ritorno da Bruxelles di un leader naturale qual è Paolo Gentiloni, rafforzato dal nuovo Stato maggiore del Nazareno. Quello composto – nei fatti – da Nardella, Decaro, Gori e Bonaccini che blindano l’effetto-wow delle Europee e portano i Dem in quella condizione ibrida di chi sogna con i piedi ben piantati a terra. Loro condizione ideale, constituency primigenia sin dal Lingotto. Ed ecco che l’effetto nostalgia si fa largo e la vocazione maggioritaria, formula alchemica amatissima durante il veltronismo, torna forte. Il Pd fa la locomotiva, trascina il resto del centrosinistra. Non è più solo l’adulto nella stanza, il più autorevole: adesso punta ad esserne l’animatore. Prova a dettare un’agenda fatta di iniziative, di manifestazioni. Schlein inaugura una stagione di “impegno militante”.

Come? Scendendo in piazza. E però perdendo la presa sull’elettorato riformista, moderato e centrista. Riavvolgiamo il nastro a sabato scorso: al Pride di Roma il primo dei carri allegorici era sostanzialmente quello del Pd: sul ribaltabile che apriva il corteo c’era Elly Schlein al centro, Alessandro Zan alla sua destra, Marta Bonafoni alla sua sinistra e il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri issato sul punto più alto. Nota stonata: tra canti e balli un po’ troppe rivendicazioni pro-Pal inneggianti all’ostilità verso lo Stato ebraico hanno sollevato proteste da molti dei manifestanti. Ieri nuova kermesse, stavolta meno gioiosa e più aventiniana. Per protestare contro il clima di “intimidazioni” subite in aula, i parlamentari Dem hanno proposto di riprendersi Piazza Santi Apostoli. La piazza-simbolo dell’Ulivo di Romano Prodi. All’appuntamento erano in cinquecento. Tanti, pochi? Quella la piazza non ne conterrebbe molti di più.

Ma si è fatta notare la pesante defezione dei centristi di Italia Viva e Azione: “Non andiamo a una manifestazione organizzata dal Pd, alla quale veniamo semplicemente invitati a cose fatte”, declina articolando il suo rifiuto Raffaella Paita, coordinatrice di IV. Schlein se l’è un po’ presa, perché appena arrivata in piazza le ha risposto: “Rispettiamo le scelte di ciascuno, io penso che sia importante avere dato questo segnale, per la prima volta abbiamo convocato insieme la manifestazione unitaria e c’è sempre tempo per allargare quando gli obiettivi sono comuni”. Poi però l’abbraccio vero è con Giuseppe Conte. Viene ripreso dagli obiettivi indiscreti dei fotografi dietro le quinte. Dietro al palco. Schlein quasi lo consola, lo accoglie. Perché le parole di Grillo, lunedì sono state frustate. Conte è stato irriso, ridicolizzato in casa. Schlein lo rasserena, lo mette a suo agio.

E lui si libera: “Il destino del Movimento non è nelle mani di Grillo. È nelle mani di una intera comunità di uomini e donne che deciderà del futuro all’assemblea costituente del prossimo settembre”. Insomma, se Conte farà la corrente movimentista del Pd e Avs fa la sinistra della sinistra, al Pd-perno centrale manca adesso chi metta a posto l’ala riformista, tutto quello che c’è tra Pd e Forza Italia. Emma Bonino in piazza Santi Apostoli c’era. Riccardo Magi, pure. Ma non basta. Vanno messi in riga Renzi e Calenda, richiamati in servizio Mastella e Fioroni. Serve un federatore. Da noi raggiunto, Francesco Rutelli sorride, scrollando le spalle. Ancora presto per assumere impegni. Però l’agenda rutelliana si fa fitta. Ieri era ospite del congresso Ance insieme a Matteo Renzi: impossibile non notare, tra i due, i segni di una intesa che perdura da trent’anni, da quando Renzi era il leader dei giovani della Margherita di Rutelli.

Avatar photo

Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.