Polvere di stelle. Non rimane che questo all’indomani delle elezioni europee. È il regalo che Giuseppe Conte ha impacchettato alla galassia grillina. Più che una sorpresa è un incubo diventato realtà. Persino il 10% è una montagna da scalare a fatica. Di quel Movimento delle origini restano solo macerie. Un cumulo di macerie. Un partito che sui territori ha ormai il peso di una qualunque lista civica. E che oggi persino a livello nazionale arranca, indietreggia, sprofonda. Anche per questo c’è chi non esclude le dimissioni del presidente grillino, che è riuscito addirittura a guadagnarsi la prima pagina di ieri de Il Fatto Quotidiano che parla di riflessioni su un suo passo indietro: «Dimissioni o rilancio 5Stelle: il dilemma di Conte sconfitto. Dopo il crollo». Con tanto di focus e analisi di critica a corredo nel giornale. No, non è un’allucinazione: sono gli incantesimi dell’avvocato.

L’ipotesi delle dimissioni di Conte

Nel Movimento è calato il gelo. La frenesia e l’iperattivismo a ridosso del voto hanno lasciato spazio a un imbarazzante silenzio. Un’entità politica nata vantando il rapporto diretto con «la base» ora fa i conti (amari) con il responso (umiliante) del popolo. Eccola la democrazia diretta. Dagli elettori arriva un «vaffa» più potente delle urla del comico Beppe Grillo. La situazione impone profonde riflessioni e, non a caso, per Il Fatto c’è chi parla di dimissioni di Conte. Sarebbe la degna conclusione di chi, dopo il costante camaleontismo, sta condannando un partito nazionale all’irrilevanza. Ammesso che l’avvocato prenda mai una decisione, visto che esprimere una posizione in maniera chiara è una richiesta eccessiva per chi è abituato a fornire risposte vaghe e fumose.
Un peso che sta affogando i 5 Stelle, altro che scialuppa di salvataggio. La riflessione interna si apre tra mugugni e malumori. C’è malcontento per le liste deboli e per l’idea dell’uomo solo al comando che rappresenta uno schiaffo a quel fantomatico «ognuno vale uno». Il confronto con lo stato maggiore del Movimento è inevitabile. I toni si preannunciano aspri. D’altronde il risultato delle europee va oltre ogni peggiore aspettativa. In tutto ciò Grillo continua a tacere. E la domanda sorge spontanea: è in cabina di regia per regalare l’ennesimo colpo di teatro che potrebbe terremotare il M5S?

Il tracollo dei 5 Stelle

A inchiodare Conte alle sue responsabilità sono i numeri. Inequivocabili. Una doccia fredda. A partire dalle elezioni politiche: i grillini nel 2013 esordiscono con il 25,6% alla Camera e si attestano come il partito più votato; nel 2018 (capitanati da Luigi Di Maio) si affermano con il 32,7%. Poi nel Movimento succede di tutto: litigi interni, scissioni, espulsioni, addii. Conte prende il timone e guida i 5 Stelle alle elezioni politiche del 25 settembre 2022. Il responso è il primo vero campanello d’allarme: quel 15,4% testimonia che più di qualcosa si è rotto.
Anche il confronto con le europee è tragicomico. Si passa dal 21,2% del 2014 al 17,1% del 2019. Poi arriva il «tocco magico» di Conte, et voilà: i grillini sono appesi all’ultimo voto per cercare quantomeno di arrivare alla doppia cifra e non essere condannati al 9,99%. Nel frattempo il Movimento è quasi scomparso dai territori. Come a Parma, dove era iniziata l’ascesa: nel 2012 il 19,5% e la vittoria di Federico Pizzarotti, 10 anni dopo invece non viene neanche presentata la lista nella città simbolo. Senza dimenticare le montagne russe a Roma e a Torino: dal 35,3% preso con Virginia Raggi nel 2016 all’19,1% del 2021 (quarta dietro Michetti, Gualtieri e Calenda); dal 30,9% con Chiara Appendino all’8% cinque anni dopo.

Il Fatto di Travaglio suona il de profundis

Tra le imprese di Conte va menzionata anche quella di essersi meritato un focus a pagina 8 de Il Fatto Quotidiano di ieri. Tutt’altro che benevolo. Ora anche il quotidiano diretto da Marco Travaglio apre gli occhi. «Sconfitto, solo e niente big: 2 milioni di voti persi. Dopo la débâcle. I conti. Le liste senza traino, il teatro al posto della piazza, i vice rimasti in panchina: così sono spariti metà degli elettori», si legge. A pagina 9 i pareri. Il sempreverde Antonio Padellaro bacchetta Conte: «Sono io poco informato? Oppure quell’impetuoso vento di cambiamento ha smesso da tempo di soffiare nelle vele Cinque Stelle?». Domanda retorica per evitare un affondo totale. Il giornalista comunque non rinuncia a strizzare l’occhio all’avvocato e, come fa un buon amico, dopo la ramanzina arrivano i consigli per tracciare la rotta: Padellaro invita a mobilitarsi con una «campagna martellante» puntando su battaglie di grande impatto «lasciate a sonnecchiare». Salario minimo, pacifismo, barricate contro il premierato.
Ma ormai il danno è fatto. Pilastri fondanti crollati, battaglie identitarie messe nel cassetto e sacrificate in nome dell’opportunismo nel palazzo, fisionomia completamente stravolta, continue giravolte, strabilianti piroette. Prima a destra con la Lega, poi a sinistra con il Partito democratico, poi (quasi) tutti insieme con Draghi. Dietrofront su dietrofront. Il M5S a guida Conte ha stropicciato la sua genesi e – come dimostra la disfatta alle europee – quelle cifre e quella valanga di preferenze sono solo un lontano ricordo. Dagli entusiasmi del 2018 allo sconcerto del 2024. È la pietra tombale sul contismo.