Dall’inizio degli anni ‘90 si è sostenuto che la caduta del muro di Berlino, la fine dell’Unione Sovietica e del cosiddetto equilibrio del terrore, avessero decretato la “fine della storia” o, quantomeno, la fine della politica ideologica. In effetti, nel mondo dominato dalla contrapposizione tra blocco occidentale e blocco comunista, la necessaria prevalenza del potere militare su quello economico imponeva che i due blocchi fossero governati da una politica fortemente caratterizzata sul piano ideologico, e dominante, ancorchè condizionata in occidente, rispetto ai potentati economici, proprio perchè indispensabile per il controllo e l’esercizio del potere militare, l’unico in grado di gestire la contrapposizione con l’analogo potere militare avversario.

Il collasso dello Stato sovietico e del suo apparato militare ha determinato la quasi superfluità del potere militare occidentale; in altre parole, in occidente la politica non ha più potuto contenere, nella dinamica democratica, le spinte degli interessi economici attraverso il timore dell’aggressione da parte del nemico. Il venir meno di un sistema sociale e politico costruito nella contrapposizione dei blocchi ha tolto i freni al capitalismo finanziario, che in trentanni ha travalicato di multipli quello manifatturiero e commerciale, forzando l’equilibrio sociale verso una sempre maggiore concentrazione della ricchezza e una sempre minore incidenza della politica “sociale” nel governo degli Stati e del mondo.

Il 25 febbraio scorso, quei carri armati la cui minaccia aveva sancito il primato della politica fino al 1992 e che, da allora, erano scomparsi dall’orizzonte prossimo del mondo occidentale, sono riapparsi ai confini di Europa. I soldati che li pilotano parlano la stessa lingua di quelli che scorrevano Budapest nel 1956 o Praga nel 1968; e ancora oggi, spesso inalberano, simbolicamente, la medesima bandiera sovietica. La guerra ai confini d’Europa, ai confini dell’occidente, e la crisi economica che ne sta derivando, ci dicono che l’immaginata fine della storia era illusoria come lo fu la belle epoque, e che una politica diversa deve tornare a governare gli Stati e la comunità dei paesi democratici.

Una politica non più liquida e post-ideologica, ma strutturata, organizzata, caratterizzata da ideali e da missioni, che sarà chiamata a dare risposte a una società percossa da povertà sempre più diffuse e insostenibili, annichilita dalla perdita di speranze e prospettive per una larghissima parte dei cittadini, sfibrata da paure che sembravano dimenticate. In questo scenario, assumono un carattere di necessità storica due prospettive: quella degli Stati Uniti d’Europa immaginati da Turati, unico argine alla progressiva marginalizzazione europea nel mondo contemporaneo; e quella della riassunzione, da parte di una nuova socialdemocrazia, della rappresentanza di masse impoverite dalla speculazione finanziaria.

Riconoscere come storicamente necessari questi sviluppi significa, per una sinistra che voglia essere sinistra in Europa e in Italia, rendere irreversibile la scelta socialdemocratica di elaborare nuove forme di intervento pubblico nell’economia, capaci di riequilibrare il processo di drenaggio della ricchezza che impoverisce le masse; e un nuovo ruolo europeo nella geopolitica mondiale: una sola diplomazia, una politica estera unica e comune, un solo esercito, una politica fiscale ed economica omogenea e comune.

Questo è il percorso: difficile, accidentato, forse oggi non chiaro a tutti, ma ineluttabile. Il far crescere negli elettorati il favore per la nuova socialdemocrazia dipenderà, soprattutto, dalla capacità delle sue leadership di mantenerne salda la prospettiva per un tempo meno effimero di quelli che hanno caratterizzato il trentennio della politica liquida; di costruire il consenso e non di inseguirlo; di elaborare basi teoriche solide e stabili su cui sviluppare la propria proposta politica, da portare a realizzazione nonostante gli insuccessi intermedi.

La scelta della socialdemocrazia, europea e italiana, è una scelta giusta, è un’idea grande, è l’unica scelta per tutti coloro che credono nei valori fondamentali di libertà, uguaglianza e fraternità che sono il patrimonio genetico della sinistra nel nostro continente. È una scelta che bisogna avere il coraggio di fare e di difendere. È l’unica scelta che che possa restituire speranza ai troppi esclusi dalla spartizione della ricchezza, ai tanti che temono di perdere libertà e diritti, a tutti quelli che credono ancora che si possa essere liberi e felici solo non si è circondati da gente che soffre.