La netta sconfitta elettorale del 25 settembre rappresenta un’occasione storica per ripensare totalmente la funzione sociale e politica della Sinistra. La ragione della sconfitta si ritrova principalmente nella scarsa capacità di visione del PD, percepito come impegnato a difendere soltanto lo status quo e per questo in crisi di consenso tra chi storicamente era chiamato a rappresentare: lavoratori, giovani, fasce più deboli della società. L’intuizione iniziale di realizzare una lista aperta, che rappresentasse il socialismo europeo, ha lasciato spazio, nel corso della campagna elettorale, ad una valutazione fuori dal tempo di un PD unico argine all’avanzata di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, dipinta come epigone del fascismo, come rappresentato dalla sfortunata campagna in cui si divideva il mondo in rosso e nero.

Non aver aderito alle richieste pressanti del nostro Segretario Enzo Maraio di inserire il simbolo del PSE nel logo della lista non è stato un mero errore grafico, ma ha rappresentato anche l’incapacità di capire l’opportunità di una lista larga ed inclusiva e che guardasse alle fortunate esperienze europee, dalla Spagna di Pedro Sanchez al coraggioso esempio della Premier finlandese Sanna Marin. Sarebbe convenuto anche allo stesso PD aprirsi in questo senso, poichè il suo miglior risultato elettorale degli ultimi anni, era stato quel 22,74% delle Europee 2019, in cui campeggiava anche il logo PSE, senza considerare l’epocale 40,81% ottenuto nel 2014 con un richiamo al PSE ancora più evidente. Il pessimo risultato elettorale è stato invece un 19,07% leggermente superiore al 18,76 delle precedenti politiche, ma l’aumento dell’astensione ha significato 800.000 voti in meno, nonostante a questa tornata si riconoscessero in essa anche Art. 1, Demos e ovviamente il PSI.

Risultato: un centrosinistra ridotto a circa 150 parlamentari tra deputati a Senatori, anche in forza del taglio dei parlamentari e della legge elettorale Rosatellum, due errori storici del PD che comprimono la democrazia. Per questo ora si sente il bisogno di riprendere il filo dell’ascolto e del confronto. E, fortunatamente, di occasioni e di spunti di dibattito in questo senso se ne vedono tante, dai contributi di Valdo Spini, acuto nel notare che molti militanti PD “hanno preso l’adesione al socialismo europeo non come una sorta di stato di necessità ma come attiva partecipazione di ideali, di valori e di programmi” alla partecipata iniziativa organizzata da Brando Benifei, giovane capodelegazione del PD al Parlamento Europeo, denominata “Coraggio”. Benifei, davanti a 600 giovani e alle delegazioni dei tre partiti alleati che si richiamano al PSE (per il PSI è intervenuto Luigi Iorio) ha affermato che il PD deve cessare con questo anacronistico silenzio e pronunciare con forza la parola socialismo. Anche Pietro Folena, già coordinatore della Segreteria dei Ds, con la sua iniziativa spiega che “dobbiamo dirci socialisti” sul presupposto che “il nuovismo senza storia a sinistra non ha avvenire”, una critica alla sinistra che non ha compreso le esigenze sociali.

In casa PSI non restiamo fermi dinanzi a questo fervore di iniziative, ma ripartiamo dall’entusiasta delegazione, guidata dal Segretario Enzo Maraio, al congresso del PSE a Berlino, che ha visto anche la partecipazione di Enrico Letta e Roberto Speranza. Per confrontarsi sugli esiti del congresso i PES Activists hanno organizzato il dibattito “Socialisti in Europa”, in cui hanno spiegato la scelta politica del PSE: la definizione dei diritti e delle responsabilità, al fine di cementare la coesione all’interno del moderno stato sociale, per garantire una maggiore parità di diritti tra uomini e donne, per fare della diversità e della integrazione la sua forza.