Il blocco del social network di Meta, che dura da una settimana e che ha scatenato la rabbia dell’opinione pubblica turca, è stato disposto da Ankara come ritorsione per la cancellazione, ad opera della piattaforma, di messaggi di condoglianze postati da alcuni funzionari turchi per l’uccisione del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh. Il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Abdulkadir Uraloğlu, ha affermato che la piattaforma non ha rispettato “alcune regole” e “sensibilità sociali” del paese, “nonostante tutti gli avvertimenti” preventivamente mossi dalle autorità. Il social medium non ha chiarito quali regole o sensibilità della community siano state violate.

Erdogan contro “il fascismo digitale”

Erdoğan ha definito “negri domestici” coloro che non si ribellano alla censura delle piattaforme di social media e che sono succubi di quello che lui definisce come “fascismo digitale”. La Turchia, a detta del presidente turco, è un paese che invece si sta ribellando a questa dittatura dei social. Ma cos’è il “negro domestico”? Il presidente turco ha pronunciato questa espressione durante un suo intervento al programma di educazione ai diritti umani organizzato dal suo Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp), dicendo che “ci si trova di fronte a un fascismo digitale che non può tollerare nemmeno le foto dei martiri palestinesi che sono vietate e censurate immediatamente”. “Ciò ci viene spacciato come difesa della libertà”, ha precisato Erdoğan e ha definito colui che si adatta a vivere comodamente in questo sistema come “negro domestico”.

L’attacco al “negro domestico”

Questa espressione fu usata negli anni ’60 da Malcolm X, attivista e politico statunitense, leader della lotta per i diritti umani degli afroamericani. Malcom X aveva usato questa definizione in riferimento agli schiavi africani che lavoravano come domestici nelle case al servizio degli americani bianchi. I neri di casa erano considerati di status più alto di quello dei neri che lavoravano nei campi. Tale definizione è poi entrata nel lessico corrente per umiliare i neri. Intanto è iperattivismo diplomatico in Medio Oriente, dopo l’assassinio di Heniyeh. Lunedì, mentre il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan era in visita al Cairo dove ha incontrato Sameh Shoukry, suo omologo egiziano, Sergej Shoigu, segretario del Consiglio di sicurezza della Federazione russa, si era recato in Iran per fornire il sostegno della Russia all’annunciata operazione di ritorsione antisraeliana di Teheran e dei suoi proxi regionali e, come sostengono diversi media locali, per sollecitare moderazione per non far divampare il conflitto.

La visita in Iran di Shoigu, era certamente tesa a trasmettere il sostegno militare del Cremlino all’Iran nel mezzo di una spirale di escalation che contrappone Israele al cosiddetto asse di resistenza eterodiretto dalla Repubblica islamica iraniana. Tra Mosca e Teheran c’è un’importante cooperazione militare che va ben oltre i droni Shahed che l’Iran fornisce alla Russia per la sua guerra contro l’Ucraina. Shoigu si è recato a Teheran ufficialmente per definire i dettagli dell’accordo di sicurezza stipulato l’anno scorso tra i due alleati che comunque sarebbero dovuti essere chiariti prima del vertice dei Brics in programma in autunno a Kazan, in Russia. Ma per questa esigenza non vi era alcuna urgenza e oltretutto un alto funzionario russo molto probabilmente non avrebbe visitato l’Iran proprio il giorno in cui il mondo era in apprensione per un possibile imminente attacco di ritorsione contro Israele da parte di Teheran e dei suoi proxi, se non per avere garanzie che l’attacco di ritorsione sarebbe stato contenuto e non avrebbe comportato un’estensione in Siria del conflitto con Israele mettendo in pericolo gli asset strategici russi nella regione.

Mosca ha certamente assicurato Teheran che sarebbe rimasta al fianco del suo prezioso partner regionale, ma nel contempo ha chiesto rassicurazioni circa il fatto che l’operazione di ritorsione sarebbe stata contenuta in maniera da non determinare un incontrollabile allargamento del conflitto nella polveriera siriana dove potrebbero finire sotto attacco la base navale russa a Tartus e quella aerea di Hmeimim sulla costa di Latakya, se Hezbollah dovesse estendere la sua minaccia anche dalla Siria. Inoltre Mosca appare preoccupata per un possibile allargamento del conflitto su vasta scala anche perché in tal caso ne sarebbe coinvolto direttamente l’Iran che non sarebbe più in grado di soddisfare le esigenze militari della Russia nella sua guerra in Ucraina. Allo stesso tempo, l’estensione del conflitto metterebbe a repentaglio le relazioni di Mosca con l’Arabia Saudita, con la quale ha un accordo sul prezzo del petrolio. Riyadh e gli Emirati Arabi Uniti di fatto aiutano Mosca ad eludere le sanzioni. Per tutte queste ragioni, Shoigu ha portato un messaggio a Teheran: bisogna evitare azioni che possono innescare una guerra regionale.