Il presidente Erdogan ha ceduto alle forti pressioni del fianco destro e più radicale del suo elettorato che chiede di interrompere le relazioni commerciali con Israele accusato di aver compiuto massacri contro la popolazione di Gaza.
Martedì 10 aprile, il Ministero del Commercio turco ha annunciato il blocco all’esportazione verso Israele di 54 prodotti descritti in un elenco reso pubblico sul sito web del Ministero, tra essi figurano barre di ferro grezzo, alluminio, un’ampia gamma di prodotti in rame, calcestruzzo, acciaio, cemento, cavi elettrici e in fibra ottica, materiali da costruzione, marmo e carburante per aerei. Il ministro ha precisato che questo elenco rappresenta solo la “prima fase delle restrizioni che rimarranno in vigore fino a quando Israele non dichiarerà un cessate il fuoco a Gaza in linea con i suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale e fino a quando non consentirà un flusso sufficiente e ininterrotto di aiuti umanitari verso la Striscia di Gaza”.

La rabbia degli islamisti

A innescare la decisione di Ankara di imporre restrizioni sulle esportazioni verso Gerusalemme è stato soprattutto il Nuovo partito del Benessere (Yeniden Refah Partisi), una formazione dell’Islam politico turco che alle recenti elezioni municipali del 31 marzo ha raccolto il 6% di voti, per gran parte sottratti al bacino elettorale del Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp), conquistando due importanti province considerate feudi del presidente turco.
Con la decisione del blocco commerciale verso Israele, Erdogan intende placare la crescente rabbia della componente più radicale degli islamisti che chiedono al governo di recidere ogni legame commerciale con lo Stato ebraico a causa del conflitto a Gaza.

Il traffico navale prosegue

Finora, oltre alle infocate invettive del leader turco contro il governo israeliano accusato di compiere un genocidio nei confronti della popolazione palestinese, ad aver paragonato il primo ministro Netanyahu a Hitler e ad aver sostenuto tali accuse presso la Corte di giustizia internazionale, non ha compiuto alcun passo concreto per la sospensione delle relazioni economiche commerciali, ma solo quelle diplomatiche. La retorica aspra e feroce di Erdogan nei confronti di Israele in difesa dei palestinesi è suonata anche negli ambienti islamisti turchi come pura propaganda. Israele, infatti, resta il decimo maggiore acquirente di beni turchi e la 29ª maggiore fonte di importazioni della Turchia. Finora il commercio turco-israeliano si è sempre dimostrato immune alle turbolenze diplomatiche, anche gravi, che si sono registrate in 75 anni di relazioni e anche ora, durante l’attuale guerra a Gaza, il traffico navale tra i porti turchi e israeliani non si è interrotto, il greggio scorre ancora attraverso l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan giungendo in Europa e in Israele. Nulla era cambiato anche nel settore delle esportazioni turche di acciaio, ferro e prodotti chimici necessari all’industria civile israeliana. La Turchia è il quinto fornitore di acciaio e di ferro per Israele, rappresentando il 20% delle esportazioni turche, altri metalli il 4,2% e i prodotti chimici il 10,7%.

Una nuova “Freedom Flotilla”

Erdogan, finora, ha voluto mantenere su binari sicuri le relazioni economico-commerciali con lo Stato ebraico nell’interesse della nazione, ma ora lo scontento manifestato in questi giorni diffusamente nelle piazze ed emerso anche nelle urne lo ha costretto a cambiare strategia per rimediare al danno subito dal suo partito con quei voti perduti. Sembra che la pressione dell’opinione pubblica sia stata efficace in questo senso. Ci sono voci che affermano che l’organizzazione umanitaria turca IHH, vicina ad Hamas, stia preparando una nuova “Freedom Flotilla” per portare aiuti a Gaza via mare. Ma Ankara non vuole affrontare un nuovo incidente come quello della Mavi Marmara del 2010. Il ministro degli Esteri Hakan Fidan, lunedì aveva detto che la Turchia avrebbe reagito al rifiuto israeliano di consentire ad Ankara di fornire aiuti aerei a Gaza intraprendendo azioni non specificate. In reazione alla decisione turca di bloccare l’esportazione di beni fondamentali verso Israele, il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha promesso di reagire con adeguate contromisure. “Israele non si sottometterà alla violenza e al ricatto e non perdonerà la violazione unilaterale degli accordi commerciali sottoscritti”, ha sottolineato il governo israeliano che ha annunciato che per ritorsione preparerà una lunga lista di prodotti turchi di cui Israele impedirà l’importazione e ciò fa supporre che vi saranno controversie legali tra Turchia e Israele riguardanti accordi stipulati con aziende private.