Il 31 marzo 2024, un’enorme onda rossa, rappresentata dal socialdemocratico Partito repubblicano del popolo (Chp), ha attraversato tutta la Turchia: il Bosforo, l’Anatolia occidentale, la costa egea e quella mediterranea con una discreta presenza anche nel centro e nell’est del paese. Si è così accesa la luce della speranza democratica che in questo straordinario Paese non si era mai spenta del tutto.
Ekrem İmamoğlu, 53 anni, è l’unico politico che è riuscito a sconfiggere il partito di Erdoğan per ben quattro volte, nel 2014, quando vinse in un distretto di Istanbul precedentemente controllato dall’Akp Parti; due volte nel 2019 e ora nel 2024, stracciando l’ex ministro dell’Urbanizzazione e dell’Ambiente Murat Kurum con un distacco abissale, di 12 punti.

I procedimenti penali intentati contro İmamoğlu e i continui ostruzionismi del capo dello stato contro le amministrazioni locali nelle mani dell’opposizione che si sono viste chiudere i rubinetti dei fondi previsti per le opere e i servizi degli enti locali, hanno costretto il leader repubblicano a rivolgersi alle banche tedesche e londinesi per acquisire i finanziamenti necessari. Ciò ha costretto İmamoğlu a fare la spola tra Ankara e Bruxelles, Londra e Berlino. Il comportamento ostruzionistico del capo dello stato verso il sindaco di Istanbul è un segno evidente di come egli lo veda come il candidato più insidioso.

Il sorpasso è avvenuto: il Chp, il maggior partito d’opposizione, ha scavalcato il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) del presidente Erdoğan ed è diventato il primo partito, si è affermato in 36 province rispetto alle 23 del partito di governo Giustizia e Sviluppo (AKP). Era dal 1989 che il Chp non vinceva un’elezione e per risalire a un risultato di queste proporzioni, 37,7% su scala nazionale, bisogna tornare indietro fino al 1977 con Ecevit.
Una vittoria nettissima soprattutto nelle prime sei città più popolose del paese: Istanbul, Ankara, Izmir, Bursa, Adana, Antalya.
Per darvi una idea della pesante sconfitta dell’Akp di Erdoğan in queste elezioni amministrative riportiamo alcune brevi riflessioni: i quattro quinti dell’economia turca e i due terzi della popolazione del paese, ora, sono sotto la guida dei sindaci dei repubblicani del Chp; l’Akp ha perso 4 milioni di voti e il Chp ne ha guadagnati 5. I repubblicani hanno conquistato molti distretti di alcune province dove non avevamo mai ottenuto successo vincendo in alcune delle roccaforti del partito islamico-conservatore di Erdoğan.

Istanbul Mayor and Republican People’s Party, or CHP, candidate Ekrem Imamoglu addresses supporters outside the City Hall in Istanbul, Turkey, early Monday, April 1, 2024. (AP Photo/Khalil Hamra)
Associated Press / LaPresse
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Dalle urne, il 31 marzo, sono emersi tutti i limiti della capacità del capo dello stato di far avanzare, nei grandi centri urbani che aveva perso nel 2019, il suo decadente Ak Parti che ha fatto registrare il peggior risultato elettorale nei 22 anni di mandato di governo Erdoğan attestandosi intorno al 35,4%. Sconfitta dovuta soprattutto anche ad una condizione economica molto critica in cui versa il paese dal 2013, con una inflazione altissima, a tre cifre.
Quel che emerge con chiarezza è che appare rivoluzionata la geografia dei partiti politici in Turchia. È stata stravolta la mappa del voto del Paese con i repubblicani che hanno una presenza anche nell’est del paese e non hanno bisogno dei litigiosi partitini di destra nazionalista ormai ridotti all’inconsistenza, dopo la disfatta dell’alleanza della nazione registrata appena dieci mesi prima, nel maggio 2023.

La vittoria di İmamoğlu ha cambiato l’atmosfera negativa in cui era precipitata l’opposizione. Ha ravvivato le speranze di milioni di persone in Turchia, infuso nuova vitalità nell’opposizione e ha consolidato senza dubbio la posizione del sindaco di Istanbul a leader de facto dell’opposizione e di candidato più probabile alle prossime elezioni presidenziali del 2028, segnando un punto di svolta per il futuro della democrazia turca.
Motore di tutto questo è di gran lunga la crisi economica che da tempo vive il Paese. È la ragione principale del malcontento che serpeggiava nell’elettorato. La reazione di pensionati, dei lavoratori e dei disoccupati è stata palese per la prima volta dopo un decennio di difficoltà economiche.

Insomma, possiamo concludere che con la sconfitta dell’AkParti nelle elezioni locali, la democrazia in Turchia è, nonostante tutto, ancora viva e vegeta; che l’opposizione è uscita rafforzarsi con due personalità di spicco: il carismatico sindaco di Istanbul Ekrem e Mansur Yavaş, sindaco di Ankara; che i curdi contano sempre in maniera decisiva e anche questa volta hanno portato alla vittoria i sindaci del Chp e che l’inflazione ha danneggiato gravemente il partito al governo ed ora Erdoğan ha quattro anni difficilissimi per risalire la china, ma dovrà affrontare la marea montante nel paese a sostegno del sindaco İmamoğlu, un politico molto carismatico proveniente da una famiglia sunnita della regione turca del Mar Nero che si definisce un liberal-socialdemocratico, sensibile alle questioni di genere, al movimento dei diritti civili ed Lgbti e alle minoranze, compresa quella curda alla quale ha promesso che con lui al potere l’epoca dei fiduciari (i Kayyum) finirebbe. Ricordiamo, infatti, che nel 2019 gran parte dei sindaci eletti nel partito filocurdo erano stati defenestrati e sostituiti con funzionari del governo. Imamoğlu ha sempre avuto un approccio costruttivo, una retorica gentile e inclusiva, tale da abbracciare musulmani e laici, curdi e turchi, alevi e sunniti, contrapposta a quella fortemente polarizzante dell’Akp di Erdoğan.