È passato meno di un anno da quando il presidente turco Erdogan ha vinto le elezioni presidenziali e si è assicurato un terzo mandato, che scadrà il 2028. Il sistema presidenziale dell’uomo solo al comando, ardentemente voluto dal leader turco con il referendum costituzionale del 2017, non gli avrebbe consentito il terzo mandato, ma con una singolare interpretazione dell’entrata in vigore della riforma egli ha aggirato questa regola. A costituzione vigente, nel 2028, non potrà più candidarsi, ma il presidente cerca un “potere permanente” e la chiave per la continuazione della sua carriera politica potrebbe risiedere nelle elezioni locali previste in tutta la Turchia per il 31 marzo. Se Erdogan prevarrà, ciò non significherà solo che avrà raggiunto il suo obiettivo di riconquistare Istanbul, persa nel 2019 contro il Partito repubblicano del popolo (Chp) dopo 25 anni, ma integrerà i canali nevralgici finanziari della megalopoli turca con la struttura amministrativa del governo centrale, con il suo budget e le sue risorse che consentono di assumere il totale controllo del cuore pulsante economico della Turchia che rappresenta circa un terzo del suo Pil.

Le elezioni locali hanno una valenza quasi simile a quelle parlamentari dal momento che la politica locale è vitale per quella nazionale. È nei comuni che i partiti traggono la loro forza e il loro radicamento nella società ed è attraverso il controllo dei centri urbani che scorre quel fiume di denaro che alimenta la politica turca. Per accedere al cospicuo finanziamento pubblico è necessario avere una rappresentanza in almeno il 41% delle province del paese. Dopo il voto, gli scenari possibili sono due. Nella megalopoli, una eventuale vittoria di Murat Kurum, candidato a sindaco per l’Akp di Erdoğan, comporterebbe dunque il consolidamento politico su larga scala del leader turco e il rafforzamento del suo potere. Istanbul è la porta per la penetrazione del sistema di governo presidenziale nei vasi capillari che alimentano tutto il Paese, ed è racchiuso qui il significato di quella che il presidente chiama con espressione molto evocativa “la Ri-Conquista di Istanbul”. Una eventuale vittoria del candidato del presidente farebbe precipitare in una crisi devastante il maggior partito d’opposizione che rischierebbe di dividersi in piccoli rivoli e sarebbe più facile per Erdogan trovare quella maggioranza parlamentare qualificata necessaria per fare approvare una nuova riforma costituzionale che lo consacrerebbe di fatto leader a vita e annullerebbe i residui elementi di indipendenza del sistema giudiziario. Erdogan sta ora conducendo attivamente una campagna città per città per conto dei candidati del suo Akp, costituite da tutte figure di secondo piano, di fatto, suoi proxi. La sua presenza fisica, in prima linea, nelle piazze di tutti i centri urbani del paese non è certo per lui una ostentazione di vanità.

La forza di Erdogan e il suo successo risiedono nella capacità del suo Ak Parti di concedere permessi di costruzione, di controllare la zonizzazione e fornire servizi di welfare all’elettorato. Il Chp ha strappato Istanbul e Ankara all’AKP nelle ultime elezioni a sindaco del 2019, in gran parte grazie al sostegno degli elettori curdi. Tuttavia ora il sindaco Ekrem Imamoglu non potrà usufruire dell’apporto del filocurdo DEM Parti che ha deciso questa volta di schierare propri candidati in diverse grandi città, tra cui Istanbul, anche se in realtà vi sarebbero taciti accordi in alcune circoscrizioni. Pertanto, la minaccia di Erdogan di chiusura del partito curdo suona più come avvertimento per ciò che accadrebbe se dovesse persistere nel suo tacito sostegno al più grande partito d’opposizione.

Nell’altro scenario, la vittoria del sindaco uscente di Istanbul, Ekrem İmamoğlu, verrebbe percepita come una perdita per Erdogan e non per la sua coalizione. Ma questo non significherà soltanto che Erdogan avrà ancora una volta perso contro la stessa persona, dopo 5 anni, dopo essere stato eletto nuovamente presidente nemmeno un anno fa. La conferma di Imamoglu nella sede della municipalità metropolitana di Istanbul il 1° aprile significherebbe che gli elettori hanno il desiderio di contenere ed equilibrare il potere del presidente e rafforzare la struttura pluralistica della società. La vittoria di Imamoglu rappresenterebbe il rifiuto dell’accentramento del potere anche locale nelle mani dell’esecutivo. E Imamoglu passerebbe alla storia per essere l’unico leader politico ad aver battuto Erdogan per ben due elezioni e questo lo consacrerebbe come l’unico candidato presidenziale dell’opposizione in grado di sfidare Erdogan nelle presidenziali del 2028. Se Imamoglu dovesse vincere, verrebbe percepito come il leader naturale non solo del suo partito, ma anche di tutta l’opposizione anti-Erdogan. Ecco perché contro Imamoglu lavorano non solo i partiti al potere, ma anche quelli dell’opposizione e perfino alcune fazioni all’interno del Chp. Imamoglu sta facendo un percorso simile a quello fatto da Erdogan. Il presidente turco ha iniziato la sua carriera politica di successo come sindaco di Istanbul nel 1994, la stessa cosa sta avvenendo con Imamoglu che, come Erdogan, combatte non solo contro il sistema costituito, ma anche all’interno del suo stesso partito.