Aboubakar Soumahoro torna sulle barricate. Il deputato di origini ivoriane eletto con l’Alleanza Verdi-Sinistra dice basta con la campagna di odio che ha vissuto. Rompe il silenzio stampa per parlare con il Riformista: “Siete i soli che mi hanno sempre sostenuto”, poi va anche in televisione, da Giovanni Floris a La7. La bufera è durata anche troppo. Le accuse contro di lui sono cadute come foglie d’autunno, tutte tanto infondate da non avergli aizzato contro le Procure. Adesso è il momento della chiarezza: Soumahoro ha predisposto un dossier informativo ed è tornato a indossare gli stivali, stavolta per cavarsi fuori dal fango del processo mediatico che ha subìto.

E dire che si era presentato in Parlamento con gli stivali per il fango…
Sì ma non potevo immaginare quale tritacarne mediatico può costruirsi sul nulla. Ho subìto un processo a reti unificate. Con un dolore, una sofferenza che non auguro a nessuno in questa vita. Sono saltate le regole del vivere civile, della buona informazione. La disinformazione si è sostituita all’informazione. Ed è saltata la capacità di essere razionali.

In che senso, onorevole?
Lo capisci quando diventi un capro espiatorio. Mancava solo che qualcuno dicesse: “Oggi fa freddo, colpa di Soumahoro”. Oppure “Non ci sono più patate, colpa di Soumahoro”. In pochi giorni sono diventato il simbolo di ogni male, di ogni cattiva condotta. Senza la capacità minima di tenere in piedi la buona informazione. Ho subìto un linciaggio. Con giornalisti che entravano nel cortile di casa, che rubavano le immagini di mio figlio.

“Appena un nero si affaccia in politica, scattano gli esami”, ha scritto Paolo Mieli. È stato questo, il suo primo problema? Lei è nero, e l’hanno fatta nero…
Sono diversamente abbronzato, è innegabile. In questo paese pesa molto, essere neri. Rende tutto molto più complicato, e lo sappiamo. Non lo scopriamo oggi.

Quando l’ha scoperto?
Io vengo dalla lotta. Ho lottato per il pane. Ho sempre lavorato duro, e da lavoratore ho incontrato lo sfruttamento. Mi svegliavo alle 4,30 del mattino per andare nei cantieri edili. In uno di questi feci amicizia con un giovane napoletano, Salvatore. Facevamo lo stesso lavoro ma prendevano una paga diversa. Lui prendeva di più perché è un italiano bianco. Io prendevo di meno perché nero. Chi passa per questo processo, impara presto cosa significa essere vittima del doppio ricatto che nasce dall’intreccio perverso tra la Bossi-Fini prima e lo sfruttamento dei padroni poi. Se ti ribelli alla paga dimezzata, ti tolgono il contratto, ti ritrovi spalle al muro con il foglio di via. Se non ti ribelli, vivi in una sorta di schiavitù. E in molti casi rischi la vita, lavorando per paghe da fame senza le dotazioni di sicurezza, nei cantieri. E allora ho deciso di dedicarmi alla lotta. Non per me, ma per noi. Per emancipare non solo me stesso ma i tantissimi sfruttati di questo paese. Invisibili per i grandi media, ma che esistono eccome.

Delle indagini della magistratura sulla cooperativa Karibu cosa può dirci?
A fine 2021 lessi alcuni articoli di stampa sulla mancata retribuzione di alcuni dipendenti della Karibù e, pur non avendo alcun interesse diretto nelle cooperative, chiesi immediati chiarimenti al riguardo. Mi dissero che non erano arrivati tutti i soldi necessari per pagare gli stipendi e che erano stati sollecitati gli enti pubblici ritardatari. Chiesi di far presto, per quanto possibile. Una situazione sulla quale non potevo però influire e sulla quale non ho responsabilità di alcun genere.

Poi se la sono presa con le attività di Lega Braccianti, la sua associazione sindacale.
La devo correggere: Lega Braccianti non è un sindacato. È una associazione iscritta al registro del Terzo Settore. Hanno contestato le raccolte fondi con la piattaforma GoFundMe, che traccia tutto in trasparenza. Sono accuse inconsistenti e sempre intrecciate con un gossip su di me e su mia moglie che francamente fa cadere le braccia. La stessa piattaforma non ha evidenziato anomalie e tutti i fondi raccolti sono stati usati per acquistare e distribuire cibo, mascherine e dispositivi socio-sanitari per il Covid. Voglio anzi dire grazie a chi ha generosamente contribuito a far arrivare quello che serviva nell’emergenza della pandemia.

I suoi conti correnti personali, ce lo conferma, erano sempre distinti e separati?
Assolutamente sì, come è facile verificare. L’associazione ha tutto certificato, conti e bilanci. Il mio conto corrente è sempre stato distinto. Le donazioni sono rendicontate e i tanti beneficiari possono testimoniarlo.

Perché ha lasciato l’impegno sindacale per la politica?
Non ho lasciato nessun impegno ma ho provato a portarlo in Parlamento. Non vedo le cose come ambiti separati. Per me la politica è una cosa alta, seria. Dove continuare la mia lotta con le forme che mi vengono consentite.

A chi si ispira?
A Sandro Pertini, Giuseppe Di Vittorio, Nelson Mandela e Martin Luther King. Persone che hanno lottato e sofferto, conosciuto la gogna e fatto la storia. Quello che ho vissuto in questa fase, con gli attacchi personali, non è politica.

È degenerazione della politica?
No, mi rifiuto di associarlo alla politica. Un’amica mi disse: “Ti candidi? Ricordati che vai a nuotare in una vasca di squali”. Io le ho risposto che non so nuotare e che anche se fossi circondato dagli squali, sono un uomo e rimango umano. Però, mi chiedo: come mai ogni volta che una persona viene dai bassifondi dell’umanità vi è una sorta di accanimento?

Domanda retorica, che risposta si è dato?
Non vorrei che la differenza della melanina abbia inciso. Sono portatore di istanze scomode, di disagio, della richiesta di cittadinanza per milioni di bambini nati in questo Paese. Delle battaglie di chi rischia la vita per guadagnare dieci euro. Di chi sta in quelle discariche sociali che sono le carceri italiane, gironi di dannati spesso ignari di come ci siano finiti dentro… Se sommiamo a questo la mia condizione di partenza, capisco di risultare un corpo estraneo. Ma chiedo che queste battaglie trovino respiro nella vita politica.

L’ha delusa la sua parte politica, il gruppo Avs?
Sono umanamente deluso da molte persone. Alle minacce di morte alla mia persona e alla mia famiglia non è seguita la tutela che doveva esserci. Mi aspettavo una solidarietà che non c’è stata.

Fratoianni e Bonelli l’hanno delusa?
Quelli che mi erano venuti a cercare per candidarmi, e che in campagna elettorale mi chiedevano i selfie, a un certo punto li ho visti attraversare la strada per non incontrarmi. Con una dinamica che si fatica a capire, il giorno prima ti incensano e il giorno dopo ti allontanano.

Adesso si allontana lei, si è iscritto al gruppo Misto.
Continuerò con umiltà, insieme a tante persone che mi hanno manifestato vicinanza, le mie battaglie. Ho avuto solidarietà anche trasversale, non solo dal centrosinistra, da parlamentari e anche da europarlamentari che in privato mi hanno detto che avevo ragione. Fare politica dovrebbe significare avere coraggio anche e soprattutto quando davanti hai la betoniera del fango.

De André diceva che dal fango nascono i fiori. Il suo fiore quale sarà?
Hanno provato a sotterrarmi senza capire che i semi, sotto terra, germogliano. Odio e minacce dalla rete mi hanno fatto capire che bisogna educare ai diritti di cittadinanza digitale, lo dobbiamo ai più giovani e ai più vulnerabili. E poi questa esperienza mi ha fatto capire quanto sia urgente lavorare sulla presunzione di innocenza, un principio troppo spesso ignorato a sinistra. La nostra Carta costituzionale dice chiaramente che si è innocenti fino al terzo grado di giudizio, bisogna che la stampa prenda atto di questo principio. Anche se io, non indagato, non ho avuto nemmeno il beneficio del dubbio.

L’Italia è più razzista di quello che si dice?
La mia vicenda è sotto gli occhi di tutti. Per questo prendere coscienza è urgente, e ancor di più lavorare alle leggi di civiltà che mancano. Il diritto alla cittadinanza per chi nasce in Italia. E creare le condizioni affinché il viaggio dall’Africa all’Italia possa svolgersi tutelando la vita umana di chi si sposta alla ricerca di una vita migliore.

Qual è la sua proposta?
Scriviamo un piano insieme ai paesi africani. Stabiliamo una modalità di arrivo in Europa dall’Africa che consenta spostamenti in sicurezza, anche coinvolgendo la rete consolare italiana nelle capitali africane, per individuare via legale di ingresso in Italia deve consentire di scongiurare il cimitero del mare. E smettiamola di finanziare i lager in Libia, una misura che davvero non ci fa onore.

Continuerà queste sue battaglie in un altro partito?
Continuerò ad andare casa per casa e strada per strada, come diceva Enrico Berlinguer.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.