La scheda del processo
La vicenda giudiziaria della Famiglia Niceta: il sequestro, i decreti revocati e il patrimonio perduto. Quando la prevenzione diventa punizione

Il procedimento penale
2009 – Siamo nei giorni del Blitz Golem della Squadra Mobile di Trapani, che avrebbe smantellato un’organizzazione criminale che vede protagoniste le famiglie mafiose della Provincia.
Massimo e Piero Niceta, imprenditori della vendita al dettaglio di capi di abbigliamento in Sicilia, vengono indagati per intestazione fittizia di beni in relazione ad uno dei 15 negozi di abbigliamento di loro proprietà. In concorso rispondono i fratelli Guttadauro, figli di Filippo Guttadauro, allora agli arresti per reati di mafia e fratello del boss di Bagheria. Secondo l’accusa vi sarebbero state cointeressenze di natura economica tra i Niceta e i fratelli Guttadauro che, dopo l’arresto del padre, sarebbero divenuti soci occulti delle aziende di famiglia.
Il procedimento si struttura su delle intercettazioni (alcune all’interno dell’Ucciardone, dove era recluso il boss di Bagheria Giuseppe Guttadauro) e sulle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia.
2010 – A conclusione delle indagini, il procedimento penale nei loro confronti viene archiviato: non c’è prova della riconducibilità dei negozi dei Niceta ai Guttadauro. I fratelli sono estranei alle vicende.
Il procedimento di prevenzione
2013 – Sulle stesse basi del procedimento penale e con l’utilizzo delle medesime intercettazioni, vengono disposti due sequestri a carico dei Niceta: il Tribunale di Trapani colpisce l’attività legata al negozio di abbigliamento, mentre il Tribunale di Palermo sequestra l’intero patrimonio della famiglia. Aziende, negozi, società, partecipazioni societarie, terreni, fabbricati e quant’altro per un totale di oltre 50 milioni di euro. I Niceta, dunque, sono estranei ai reati legati alla mafia, ma le loro fortune imprenditoriali, secondo i Tribunali di Prevenzione, sarebbero legate a Cosa Nostra. Contrapponendosi agli esiti del procedimento penale, il Tribunale di Trapani afferma che la società Ni.ca. S.r.l. cui faceva capo il negozio “anche se formalmente intestata a Niceta Massimo era nella indiretta disponibilità della famiglia Guttadauro”.
Da parte sua, poi, il Tribunale di Palermo ritiene provati accordi decennali della famiglia Niceta con la cosca mafiosa: prima il capostipite Mario negli anni ’80 e poi i figli succedutigli nell’impresa avrebbero operato in un contesto economico imprenditoriale connotato da permanente illiceità, accrescendo il proprio patrimonio grazie all’appoggio della mafia; quest’ultima avrebbe ulteriormente beneficiato dei rapporti grazie alle cospicue utilità economiche derivanti dalla partecipazione alle attività dei Niceta.
2017 – Il decreto di sequestro del Tribunale di Trapani viene revocato dalla Corte di Appello di Palermo. Non c’è prova di una gestione occulta dei Guttadauro sui beni oggetto di confisca e non c’è prova neppure di una partecipazione agli utili della società. Nel complesso, si è di fronte ad un “non corroborante quadro accertativo” che avrebbe dovuto impedire la disposizione del sequestro.
2018 – Anche il decreto di sequestro del Tribunale di Palermo viene revocato. Secondo il nuovo giudice, Piero e Massimo Niceta non hanno fornito alla mafia alcun contributo fattivo alla cosca, non ci sono elementi che provino che le attività imprenditoriali dei fratelli Niceta siano state finanziate con risorse provenienti dalla mafia e dagli accertamenti peritali non sono risultati afflussi sospetti di denaro.
Afferma in aggiunta il Tribunale che, pur non costituendo il decreto di archiviazione penale un vero e proprio giudicato, esso non può non essere tenuto in considerazione quantomeno alla luce del più “generale principio di non contraddizione dell’ordinamento (e dei provvedimenti giurisdizionali), principio la cui portata generale impone la sua applicazione a tutti gli ambiti della giurisdizione (dunque anche al giudizio di prevenzione). Ciò non solo nella prospettiva di progressivo avvicinamento fra il procedimento di prevenzione e le regole processual-penalistiche (nei limiti in cui ciò è compatibile con la particolare natura e con l’oggetto del giudizio di prevenzione), ma anche sulla scorta di un chiaro segnale in tal senso fornito dal legislatore: è significativa, a tal proposito, la recente novella dell’art. 28 d.lgs. 159/11, espressiva di una precisa scelta di accordare preferenza al giudicato penale favorevole (menzionato, infatti, fra le cause di revocazione della confisca)”.
2020 – A seguito di ricorso della Procura Generale, la Corte d’appello conferma il decreto di dissequestro per i beni della famiglia Niceta. “L’insussistenza di un compendio indiziario sufficiente a supportare un giudizio di pericolosità qualificata nei confronti di Piero, Massimo e Olimpia Niceta esime questa Corte dall’esaminare le ulteriori censure formulate dagli inquirenti appellanti relativamente al rigetto della misura patrimoniale”.
Com’è finita?
Dopo oltre un decennio, la vicenda giudiziaria della famiglia è giunta al termine. Nelle more, però, il patrimonio è andato perduto e, dopo anni di blocco e di affidamento alle amministrazioni giudiziarie, le aziende del gruppo Niceta sono fallite.
Intervenuto il dissequestro, inoltre, i fratelli Niceta hanno subìto le iniziative giudiziarie di tutti quei creditori delle società da loro partecipate che, essendo titolari di crediti assistiti da garanzia personale dei soci, non sono stati pagati in costanza di misura di prevenzione dagli amministratori giudiziari.
Gli immobili di proprietà dei Niceta oggetto di sequestro, già gravati da formalità ipotecaria, versano poi in pessimo stato di conservazione non essendo state effettuate, in pendenza dei sequestri, quelle minime opere di manutenzione e conservazione necessarie ad evitarne il deterioramento. In conseguenza dei sequestri subiti, infine, i Niceta hanno ormai perso ogni merito creditizio, così che gli è precluso l’accesso ad un conto corrente bancario o a qualsiasi forma di prestito.
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