Nuvole nere si addensano sulla giurisprudenza sovranazionale in tema di misure di prevenzione patrimoniale. Dopo un primo pronunciamento che aveva aperto il cuore alla speranza, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sembra cedere alla fascinazione del modello italiano che, in nome della lotta ai patrimoni mafiosi, mette in conto senza battere ciglio la distruzione di patrimoni del tutto leciti, e con essi di storie imprenditoriali e familiari di persone per bene, colpevoli solo di essere state ad un certo punto “sospettate” (ingiustamente) di collusioni mafiose.

Una recente sentenza CEDU del 13 febbraio scorso accoglie il principio per il quale la confisca di prevenzione “non è una pena”, con la conseguenza che la sua applicazione non può essere regolata in base al principio di presunzione di innocenza. La confisca di prevenzione, spiega la Corte, ha “finalità ripristinatorie” volte a prevenire la “remunerazione del crimine”. Insomma, il sospetto ragionevole anche solo di cointeressenze con il crimine rende legittimo il sequestro di interi patrimoni imprenditoriali e personali, il loro affidamento ad amministratori giudiziari pronti, come sappiamo, a dilapidarli, e si arrangi il sospettato a dimostrarne, invece, la piena liceità.

Pena e funzione ripristinatoria: come il napalm in Vietnam

Grazie a queste sofisticate esercitazioni concettuali sulla differenza tra “pena” e “funzione ripristinatoria”, si consolida una micidiale arma da guerra che ricorda l’uso del napalm nella guerra in Vietnam. Dal momento che in quelle inestricabili foreste si nascondevano con certezza i feroci vietcong, si incendiavano le intere foreste, e pazienza per i pacifici abitanti dei piccoli villaggi sparsi in quei territori. Provino i giudici della CEDU a spiegare al lunghissimo elenco di imprenditori e famiglie ingiustamente espropriati in questi decenni di tutti i loro beni, e precipitati dalla mattina alla sera dal benessere alla miseria sulla base di un mero sospetto dimostratosi, molti anni dopo, del tutto infondato, che ciò che è loro capitato “non è una pena, ma una misura ripristinatoria che ha l’obiettivo di non remunerare il crimine”, e poi ne riparliamo.

Parlatene, per esempio, con i signori Niceta, la cui terrificante storia, che purtroppo è la fotocopia di innumerevoli altre, raccontiamo nella nostra Quarta Pagina. Spiegate a costoro che della devastazione delle loro aziende determinata dagli amministratori giudiziari, in pendenza dell’incivile procedimento con onere della prova contraria a loro carico, non risponderà nessuno, anzi ne devono ora rispondere i signori Niceta avanti al Tribunale fallimentare, dopo la restituzione delle macerie, senza neanche una parola di scuse.

L’irrensponsabilità degli amministratori giudiziari

Tra non molto la CEDU dovrà pronunciarsi sul ricorso dei signori Cavallotti, ai quali sono stati confiscati i beni nonostante la piena assoluzione dalle imputazioni di mafia. Qui il tema del rapporto tra giudicato penale assolutorio e confisca di prevenzione dovrà essere risolto senza equivoci o equilibrismi: speriamo bene. Così come è indispensabile che il legislatore nazionale finalmente si determini ad affrontare con decisione il tema dell’indennizzo nei confronti degli imprenditori e delle persone ingiustamente private del loro patrimonio. Magari affrontando finalmente la più spinosa e scandalosa delle questioni messe in gioco dalla confisca di prevenzione: la attuale, totale ed assoluta irresponsabilità degli amministratori giudiziari per gli atti di “mala gestio” dei patrimoni loro affidati.

La casta di intoccabili

Qui si finge di non vedere che in questi anni, all’ombra di questa sacra “lotta ai patrimoni criminali”, che troppo spesso è invece espropriazione di patrimoni leciti, si è costituita una casta di intoccabili, un ristretto numero di professionisti lautamente remunerati ai quali i Tribunali per le misure di Prevenzione affidano patrimoni ed aziende poi quasi sistematicamente spolpate senza ritegno dei propri beni e avviate al fallimento, senza che nessuno di costoro sia chiamato a rispondere di simili scempi. Ah già, dimenticavo: “Non è una pena”. Buona lettura.

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Avvocato