La decisione della Corte d’Appello di Palermo
Annullata la confisca dei beni a Carmelo Patti: il trionfo dell’innocenza che non è riuscito a dimostrare in vita
Macerie. Del patrimonio di Carmelo Patti, confiscato nel 2018 con l’accusa di essere il frutto della vicinanza dell’imprenditore siciliano alla mafia, i suoi eredi rischiano di godersene qualche briciola. Il calvario giudiziario di Patti inizia anni fa, quando la DIA nel 2018 riesce a convincere il Tribunale di Trapani: quella fortuna è il risultato dei legami dell’imprenditore con la famiglia mafiosa dei Messina Denaro, sostengono i magistrati che dispongono la confisca. Il tempo passa, Patti si ammala e nel 2016 muore, quando ancora deve finire il procedimento di primo grado. Solo ieri la Corte d’Appello di Palermo ha annullato il provvedimento e riconsegnato i beni agli eredi dell’imprenditore che, giovanissimo originario di Castelvetrano (il paese di Mattia Messina Denaro), era emigrato al nord per trovare fortuna e ci era riuscito prima con il cablaggio di fili per auto e poi con il turismo in Sicilia. Ma di quel patrimonio inizialmente stimato dalla Dia in un miliardo e mezzo di euro – e fatto di villaggi turistici (tra cui Valtur) e società – tra fallimenti ed evoluzioni delle amministrazioni giudiziarie, oggi c’è davvero l’ombra. E che potrà essere solo quantificato in seguito.
L’errore nel sistema
Un altro caso che riflette la perversione e la stortura del sistema di prevenzione in Italia, in cui un uomo viene dilapidato del suo patrimonio, assolto nel processo penale e da ogni accusa, e dopo anni di sofferenze e dolori riesce a trionfare in tribunale. Con l’aggravante, però, di essere consapevole di non aver fatto nulla, ma senza riuscire a dimostrarlo da vivo. “Prendendo in considerazione il materiale probatorio complessivamente raccolto sia nel corso del primo grado che nel grado di appello deve escludersi che siano emersi concreti sintomi della pericolosità sociale del proposto, essendo rimasta dimostrata una vicinanza a soggetti, a loro volta vicini all’associazione mafiosa, in assenza di concreti elementi indiziari relativi a una cointeressenza di esponenti mafiosi nelle attività imprenditoriali di Patti”, si decreto della Quinta sezione penale del capoluogo di regione siciliano. Il provvedimento si traduce così: manca totalmente un requisito (fondamentale) della pericolosità sociale che è necessario per approdare ad una misura patrimoniale come la confisca. E che, sul piano del merito, a niente serve sostenere che uno dei più fidati collaboratori di Patti fosse il cognato di Messina Denaro, Michele Alagna, fratello della donna che al boss ha dato una figlia.
L’ingiusta aggressione mediatica
“Si potrebbe dire che il tempo è galantuomo – dicono gli avvocati Roberto Tricoli, Raffaele Bonsignore, Angelo Mangione, Marco Antonio Dal Ben e Giuseppe Carteni che compongo il collegio difensivo degli eredi – restano, però, i segni di una aggressione mediatica ingiustamente subita dal cavaliere Patti che è stato indicato al pubblico di molte trasmissioni televisive e dalla stampa nazionale come un imprenditore ‘vicino’ al contesto mafioso di Castelvetrano”. “Il cavaliere Patti è deceduto incensurato ed è stato assolto da tutti i processi nei quali è stato chiamato a difendersi ed ha dedicato la sua vita al lavoro ed alla crescita delle sue aziende dopo essere emigrato al nord Italia all’età di 26 anni – conclude il collegio difensivo – Non ha mai reagito alle aggressioni mediatiche e non mai perso fiducia nella Giustizia che oggi, finalmente, gli restituisce integralmente l’onorabilità”.
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