La politica che usa o crede di usare la giustizia per vincere le sue battaglie poi ne diventa spesso schiava. La politica che usa l’Antimafia e gioca con qualcosa di molto pericoloso poi spesso si trova contro dossier e spioni dentro case e se ne stupisce.

Il caso del comune di Bari è emblematico: c’è una inchiesta giudiziaria che coinvolge alcuni consiglieri comunali e una municipalizzata per infiltrazioni della criminalità. Accade che lo scontro politico si proietta a Palazzo e il Viminale avvia la procedura che prelude allo scioglimento del consiglio comunale per mafia. Un atto sgrammaticato, assolutamente esagerato rispetto alla realtà del fenomeno nei confronti di una delle grandi metropoli del Mezzogiorno.

L’esempio Mafia Capitale

Eppure Mafia Capitale avrebbe dovuto insegnare qualcosa, l’inchiesta del procuratore Pignatone che nel 2015 scoperchiò il cosiddetto Mondo di Mezzo. Ma tutto era tranne che mafia, la Cassazione demolì quel teorema ma il marchio di Mafia Capitale produsse un danno enorme alla città e al Paese. Eppure in quel caso la politica si astenne dallo sciogliere il consiglio comunale, si limitò a sciogliere il consiglio comunale di Ostia e non quello di Roma.

L’atto politico del governo

Stavolta invece è andata oltre. Questa iniziativa non è un atto dovuto come racconta il ministro Piantedosi ma un atto politico, sgrammaticato, che non tiene conto anche di quale destino il commissariamento dei comuni sciolti per mafia ha avuto nel Mezzogiorno, creando le condizioni per cronicizzare le opacità della vita pubblica e non per bonificarle. Un atto inaudito nei confronti di una città come Bari, un milione e mezzo di abitanti nel suo hinterland, colpita solo in maniera marginale dalle inflitrazioni criminali che sono presenti in ogni dove.

Il ruolo della stampa

Singolare il modo in cui la stampa si dispone in questa querelle che si è aperta tra destra e sinistra. I media di destra, che in altre occasioni hanno assunto posizioni garantiste e liberali, questa volta si è schiacciata in un giustizialismo senza precedenti. Gli editoriali dei direttori dei giornali di destra sono una fotocopia l’uno dell’altro. La stampa di sinistra, in questa circostanza, diventa garantista quando in altre occasioni ha assunto un atteggiamento opposto.

Questa è la morte dello Stato di diritto ma soprattutto è la mortificazione del dibattito pubblico perché sacrificare il garantismo e piegarlo alle torsioni del proprio tornaconto personale significa veramente sciupare la qualità della democrazia, la libertà dei cittadini e la dignità di un dibattito pubblico che meriterebbe davvero molto di più.

Le prime pagine dei giornali di destra

alessandro barbano

Nato a Lecce il 26 luglio 1961 è un giornalista, scrittore e docente italiano. È stato condirettore del Corriere dello Sport, editorialista di Huffington Post, conduttore della rassegna stampa di Radio radicale, Stampa e Regime, e curatore della rubrica di libri War room books sul sito romaincontra.it. Ha diretto per quasi sei anni il Mattino di Napoli (2012- 2018) e per cinque è stato vicedirettore del Messaggero. Laureato in giurisprudenza all'università di Bologna, giornalista professionista dal 1984, ha insegnato teoria e tecnica del linguaggio giornalistico, organizzazione del lavoro redazionale, sociologia delle comunicazioni di massa, retorica, linguaggi e stili del giornalismo, giornalismo politico ed economico all'Università La Sapienza di Roma, all'Università del Molise, alla Link University e all’Università Suor Orsola Benincasa. È autore di saggi dedicati al giornalismo e a temi di carattere politico e sociale: La Gogna (Marsilio 2023), L’inganno (Marsilio 2022), La visione (Mondadori 2020), Le dieci bugie (Mondadori 2019), Troppi diritti (Mondadori 2018), Dove andremo a finire (Einaudi 2011), Degenerazioni (Rubbettino 2007). Al giornalismo ha dedicato Professionisti del dubbio (Lupetti 1997), l’Italia dei giornali fotocopia (Franco Angeli 2003) e Manuale di giornalismo, (Laterza 2012). Presiede la Fondazione Campania dei Festival. Nominato dal Ministro dei Beni culturali, è componente del consiglio di indirizzo del Teatro di San Carlo e del museo di Palazzo Reale di Napoli. Dall'11 marzo 2024 è direttore del Riformista.