L’inchiesta di Perugia
Dossieraggio, il pm Laudati chiama in causa Cafiero De Raho e nega di aver spiato politici e vip
Il pm Antonio Laudati si avvale della facoltà di non rispondere, ma in una nota del suo difensore nega di aver confezionato documenti contro politici e vip, e chiama in causa l’ex Procuratore antimafia
“Al punto in cui siamo arrivati, prima che il mio assistito si sottoponga all’interrogatorio, credo sia necessario aspettare la chiusura delle indagini con la completa Discovery degli atti processuali”, afferma al Riformista l’avvocato Andrea Castaldo, difensore di Antonio Laudati, sostituto procuratore presso la Direzione nazionale antimafia, accusato di aver effettuato degli accessi abusivi alla super banca dati di via Giulia. Il magistrato era atteso ieri mattina alla Procura di Perugia per essere sottoposto ad un interrogatorio dopo aver ricevuto un invito a comparire. Tramite il suo difensore, però, ha fatto sapere di volersi avvalere della facoltà di non rispondere. “Dopo la massiccia ed incontrollata diffusione di notizie coperte dal segreto istruttorio, ritengo che non sussistano al momento le condizioni per interrogatorio”, sottolinea lo stesso Laudati in una nota poi inviata alla stampa. L’interrogatorio, peraltro, era stato “ampiamente preannunciato” ha puntualizzato Laudati e avrebbe dovuto servire “per esercitare concretamente il diritto di difesa e per fornire un contributo alla ricostruzione dei fatti”.
L’ex procuratore di Bari, sempre nella nota, ha inoltre sottolineato ancora una volta di non aver mai effettuato accessi abusivi, di non aver mai avuto alcun rapporto, neppure di conoscenza con i giornalisti che risultano indagati, e soprattutto di non aver mai costruito dossier per spiare o ricattare politici.
Laudati, all’indomani del suo coinvolgimento nell’inchiesta a carico dell’ex maresciallo della guardia di finanza Pasquale Striano, aveva fatto sapere che nessun accertamento era mai stato effettuato dalla Dna nei confronti del ministro della Difesa Guido Crosetto, dalla cui denuncia era partito il procedimento penale.
Gli accertamenti su Crosetto erano stati effettuati presso gli uffici del Nucleo valutario della guardia di finanza nell’ottobre del 2022, sulla piattaforma della banca dati “Serpico” dell’Agenzia delle entrate, che non è in dotazione alla Dna.
L’accesso era stato effettuato da Striano che in quel periodo era impiegato dai suoi superiori in una maniera quanto mai originale: tre giorni lavorava presso la Dna e tre giorni presso il Nucleo valutario della Gdf.
Nel corso degli accessi, Striano aveva acquisito la dichiarazione dei redditi di Crosetto, con l’indicazione dei compensi ricevuti. Tale documento era stato pubblicato qualche giorno dopo sul quotidiano Il Domani. Striano, come poi era emerso, si era incontrato con Giovanni Tizian, giornalista autore della rivelazione, proprio nei giorni in cui avveniva la pubblicazione dei documenti acquisiti dalla banca dati Serpico.
L’indagine era stata quindi trasmessa dalla Procura di Roma alla Procura di Perugia sulla base delle dichiarazioni di Striano che aveva accusato Laudati di essere a conoscenza dell’accaduto.
“Un ricostruzione calunniosa, al solo fine di giustificare il suo comportamento individuato con l’accesso abusivo nei confronti di Crosetto, paventando un inesistente modus operandi”, aveva replicato il magistrato. Laudati era il responsabile del “gruppo sos” con il compito di delegare approfondimenti investigativi, di controllare le attività di pre-investigazione e di formulare delle proposte di atto di impulso.
Gli atti trattati venivano sempre sottoposti al visto del procuratore nazionale antimafia, all’epoca dei fatti Federico Cafiero De Raho, ora deputato grillino, e, successivamente, da quest’ultimo trasmessi alle varie Direzioni distrettuali antimafia come atto di impulso investigativo, soggetto al segreto istruttorio.
L’atto di impulso è una proposta di sviluppo investigativo che viene demandato al procuratore destinatario dello stesso per le sue esclusive valutazioni e determinazioni.
A Laudati il procuratore Raffale Cantone ha contestato tre accessi abusivi.
Il primo riguarda dei soggetti che ruotano intorno la vendita dell’ex convento dei frati di Santa Severa dove si doveva realizzare una speculazione edilizia.
Sulla vicenda era stato costituito un comitato cittadino, era stata presentata una denuncia alla Procura di Civitavecchia, vi era stato un incendio doloso presso il locale ristorante L’Isola del Pescatore di proprietà di uno degli acquirenti.
Laudati avrebbe chiesto di verificare a Striano se vi fossero elementi per fare degli approfondimenti.
Ne era scaturito che l’acquisto era stato effettuato da una società costituita al momento del preliminare, la cui amministratrice era una casalinga di 86 anni senza alcun reddito, che versava 50.000 euro e si impegnava poi a versare in pochi mesi quasi 5 milioni di euro. Tra i componenti della società vi erano soggetti segnalati o condannati per riciclaggio della ‘ndrangheta.
Il magistrato aveva allora chiesto l’apertura di un dossier per uno di questi atti di impulso. Ottenuta l’autorizzazione, Laudati aveva fatto redigere una relazione informativa, sottoponendola a Cafiero De Raho per la successiva trasmissione alla Dda della Capitale.
Il secondo accesso era relativo al ruolo di alcuni procuratori sportivi. Il terzo, invece, quello che aveva destato più clamore, riguardava un approfondimento richiesto dalla Dda di Salerno in relazione al processo penale a seguito delle vicende legate all’acquisto della Salernitana Calcio.
Laudati era delegato al collegamento investigativo con la Dda di Salerno e, nel corso di una riunione, aveva ricevuto l’indicazione affinché verificasse se vi fossero rapporti di natura patrimoniale tra Danilo Iervolino, presidente della Salernitana Calcio e Gabriele Gravina, numero uno della Figc.
Dagli accertamenti delegati al gruppo sos risultava che il titolare di un fondo inglese aveva acquistato un appartamento a Milano, di ingente valore, in favore della figlia di Gravina, in cambio della prelazione sull’eventuale vendita di alcuni libri antichi di sport posseduti dallo stesso.
Risultava che la prelazione era stata successivamente revocata ma veniva segnalato che non vi era prova della effettiva restituzione del danaro.
Nelle more degli approfondimenti, il procedimento penale era stato trasmesso dalla Procura di Salerno per competenza alla Procura di Roma, per cui, dopo una discussione tra i componenti del gruppo sos della Dna, si era deciso di inoltrarlo per unione agli atti al procedimento in corso a Roma. Ed anche in questo caso la trasmissione era stata disposta dal procuratore nazionale antimafia al quale erano stati portati in visione tutti gli atti.
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