Un boomerang attraversa il Transatlantico in una giornata da tutto esaurito alla Camera. Sibila il nome del ministro Piantedosi, del sindaco di Bari Decaro, si tira dietro il nome della premier, non può non evocare il vicepremier Salvini. Giorgia Meloni blinda come può la sua missione al Consiglio europeo (oggi e domani). Dice “cari ragazzi” ai parlamentari delle opposizioni. Spiega che in politica estera “contano gli atti del governo e del Parlamento sui quali questa maggioranza è sempre stata coesa e coerente”. Cerca di mettere sotto il tappeto Salvini e le sue giustificazioni su Putin, sul regime e sulla morte del dissidente Navalny. Al secondo giorno di informativa al Parlamento sul Consiglio europeo, ieri finalmente il vicepremier e leader della Lega compare al fianco della premier ai banchi del governo. Saluti e abbracci, “bacio, bacio” scherzano dai banchi delle opposizioni. Cinque minuti e poi se ne va.

Riccardo Magi (+Europa) prima ed Elly Schlein dopo citano un post sui social, 19 marzo 2018: “Complimenti a Vladimir Putin per la sua quarta elezione alla presidenza della Federazione Russa. La volontà del popolo in queste elezioni è inequivocabile”. Non era Salvini, era Giorgia Meloni: la premier dimentica come la sua maggioranza, tutta, sia stata più o meno filoputiniana almeno finché ha giurato nell’ottobre 2022.

Mentre l’aula tra interruzioni e cori arriva come può alle votazioni finali e si capisce che questa volta a Bruxelles non sarà una facile missione (“i comportamenti femminei di Macron” secondo il senatore Menia sono parole che sfiorano l’incidente diplomatico e un altro elemento di forte imbarazzo per la delegazione italiana), da cellulari collegati in streaming e dalle agenzie di stampa piombano in aula il caso Bari e il caso Piantedosi. “Quello del ministro dell’Interno è un atto di guerra” dice dalla Puglia il sindaco Decaro in una conferenza stampa drammatica. C’è di mezzo una brutta inchiesta per infiltrazioni mafiose, 137 arresti tra cui due consiglieri comunali eletti nel centrodestra passati poi in maggioranza. Gli arresti sono del 26 febbraio. E proprio martedì sera, tre settimane dopo, il ministro ha nominato la commissione ministeriale che dovrà esaminare gli atti per poi valutare lo scioglimento. Ecco “l’atto di guerra”. Alla Camera facce basite nei capannelli Pd e delle altre opposizioni. Cinque Stelle esclusi: hanno il loro da fare con Cafiero De Raho (dossieraggio) e con Giuseppe Conte che ancora ieri ha taciuto su Putin e la sua rielezione. L’ex premier non si esprime. Non giudica.

“Condizionare la campagna elettorale di Bari”

L’onorevole Lacarra, Pd eletto in Puglia, lavora all’intervento che nel pomeriggio incendierà nuovamente l’aula. Rimette insieme i pezzi di questa storia. E scopre che “la maggioranza ha lavorato intensamente per arrivare a questo momento”. Dice di più: “Un gruppo di parlamentari di centrodestra ha chiesto al ministro di condizionare l’intera campagna elettorale di Bari con l’intento di offrire ad un centrodestra debole, diviso e sempre perdente, almeno una chance”.
Urge chiarire. E capire. Si scopre così che il 29 febbraio undici parlamentari del centrodestra hanno organizzato una conferenza stampa alla Camera per “denunciare il grave scandalo che ha coinvolto la giunta della città di Bari e tutta la città”. Una conferenza stampa poco partecipata, 11 di mattina, due deputati 5 Stelle tra il pubblico e però è presente il governo: un viceministro (Francesco Paolo Sisto, Giustizia, Forza Italia) e un sottosegretario (Marcello Gemmato, FdI, Sanità). A risentirle oggi, fanno impressione le parole di Sisto: “L’inchiesta Codice Interno della Dda di Bari non può essere ridotta ad un astratto dibattito politico. Il ministro dell’Interno, da noi ieri sollecitato in proposito, ha detto che vista l’entità dei fatti e lo spessore delle vicende, sarà necessario approfondire”. Cioè, per dirla chiara: il 28 febbraio, a due giorni dagli arresti, un pezzo di governo chiede al governo di fare chiarezza sui fatti di Bari. Possiamo aggiungere che in queste settimane è capitato spesso che i cronisti parlamentari venissero sollecitati a vedere meglio cosa stava succedendo a Bari. “Ne parla solo la stampa locale, neppure una riga su quella nazionale”.

La mossa di Meloni

Sono stati accontentati. Il viceministro Sisto ha spiegato che “la necessità di fare chiarezza è nell’interesse della città di Bari”. A settanta giorni dalle urne è un dettaglio che fa la differenza. In nessun modo gli atti, ben 23 faldoni, collegano il sindaco Decaro alla presunta infiltrazione mafiosa in una municipalizzata controllata al cento per cento dal comune. La premier capisce che la situazione può sfuggire di mano e manda il ministro dell’Interno ai microfoni del Tg1 all’ora di pranzo: “Il nostro governo ha già sciolto 15 comuni, in prevalenza a guida di centrodestra. Questo governo ha dichiarato guerra alle mafie, non certo agli amministratori locali. Quello richiesto è un accesso ispettivo e non è pregiudizialmente finalizzato allo scioglimento”. Eccolo qua il capolavoro: due, tre mesi a bagnomaria. Il tempo della campagna elettorale che, per l’appunto, vede Decaro capolista blindato alle Europee circoscrizione sud e l’avvocato cassazionista Michele Laforgia pronto a prenderne il testimone. La destra fuori dai giochi un’altra volta.

“L’obiettivo della destra, con questa inchiesta, è smontare per via giudiziaria vent’anni di governi di centrosinistra a Bari e in Puglia” dicono sicuri a sinistra. Ce la faranno? Il Pd chiede che la premier venga in aula, “non ci fidiamo più di Piantedosi”. Forza Italia e i Fratelli si ribellano. L’azzurro Pittalis prova a leggere in aula le dichiarazioni del pentito che chiama in causa De Caro. “Ci auguriamo che il sindaco possa dimostrare…”. Il presidente di turno, il grillino Costa, lascia fare. I 5 Stelle osservano muti la scena. Giachetti (Iv) denuncia la “strumentalità di tutto questo visto che tra due mesi di vota” ma soprattutto “è gravissimo che in Parlamento si dica che un sindaco deve smentire le accuse di un pentito”. Azzurri e fratelli colpiti dal morbo grillino: il giustizialismo.
In tutto questo c’è chi, a destra, comincia a fare i conti con il calendario. “A metà giugno ci sarà il G7 in Puglia, media center a Bari. E che facciamo? Ospitiamo la stampa mondiale nella città che stiamo dicendo essere infiltrata dalla mafia?”. E allora, altro che boomerang.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.