Ma come, Bari? Come è possibile Bari? L’unico suo film western il famoso regista austriaco-statunitense Otto Preminger lo girò nel 1954, protagonisti star come Marilyn Monroe e Robert Mitchum. Cinemascope e Technicolor, 20th Century Fox. Il titolo era . Tale è oggi Bari, nel senso di oggetto non tanto oscuro del desiderio di ogni forza politica, come da un po’ di tempo lo è di turisti di ogni parte del mondo. Ma anche di investitori, o di organizzatori di congressi, o di studenti. Per non parlare di cineasti e di autori di fiction televisive.

E mai come ora Bari (con la Puglia) affianca l’eterna Napoli nell’immaginario collettivo. Un immaginario collettivo non solo nazionale, tanto campeggia in romanzi, sul grande e piccolo schermo, sui giornali. E invece un giorno arriva il sospetto di infiltrazione mafiosa, fino al punto che la mafia comprometta l’attività amministrativa del Comune.

Bari è una città il cui sindaco, Antonio Decaro, secondo i sondaggi è stato fino all’anno scorso il miglior sindaco d’Italia, il più amato (scendendo di una sola posizione quest’anno). Ma non deve essere una opinione solo dei suoi cittadini, per quanto da non considerare di routine in un Paese in cui non è che simili attestati si regalino al mercatino dell’usato. Perché Decaro da anni è anche il presidente dell’Anci, cioè di tutti i sindaci d’Italia, quindi anche di quelli non di centrosinistra come lui.

E le cronache non hanno registrato finora turbolenze, nel senso che nessuno dei suoi colleghi lo ha mai accusato di favorire la sua parte politica. E di mezzo c’è stata una cosuccia come il Covid, e ora il Pnrr con le accuse (respinte) ai Comuni di avere tutte le responsabilità sulla lentezza della spesa. E un progetto di autonomia differenziata che schiaccerebbe i Comuni a vantaggio delle Regioni. Ma Decaro ha sempre mantenuto la rotta.

Fatto sta che questo pedigree da numero uno è sembrato andare a farsi benedire in un giorno di marzo ancora poco primaverile. È stato quando la magistratura barese ha messo a segno un colpo tanto incisivo quanto inquietante contro i clan malavitosi locali. Perché fra i 135 arresti spiccavano alcuni nomi. Anzitutto quello di Giacomo Olivieri, ex consigliere regionale ed ex presidente di una azienda pubblica in house. Personaggio notissimo in città per i suoi lussi e per i suoi influssi.

Poi il nome della moglie Annamaria Lorusso, consigliera comunale. Entrambi nel tempo tanto protagonisti di giri fra i partiti, qui entro-da qui esco-qui rientro che neanche una quadriglia. La Lorusso infatti eletta col centrodestra e passata dall’altra parte, nonché figlia di un oncologo anch’egli arrestato per la seconda volta dopo esserlo stato per l’accusa di aver estorto denaro ai suoi pazienti.

Voto di scambio, l’imputazione principale: averli comprati dai clan mai così disponibili. L’inchiesta della Procura denunciava inoltre che all’interno della municipalizzata Amtab, trasporto urbano, decine di assunzioni erano state fatte su pressione o imposizione dei clan medesimi. Con due vigilesse che, per completare l’orrifico quadro, ai boss si sarebbero rivolte per recuperare un’auto rubata. Mentre una telefonata nei loro confronti risultava partita addirittura della Prefettura, cioè lo Stato e non l’anti-Stato.

Sufficiente per definire Bari non solo città mafiosa ma addirittura in combutta con la mafia? A Bari si voterà fra qualche mese per il nuovo sindaco, che non potrà essere il vecchio sindaco Decaro essendo stato escluso il controverso terzo mandato. E figuriamoci l’impatto del clamore giudiziario in una campagna elettorale particolarmente serrata non solo per l’incapacità dei due schieramenti di definire il proprio candidato.

Ma perché da vent’anni e quattro mandati Bari ha sindaci di centrosinistra, Emiliano (ora presidente della Regione per la seconda volta) prima di Decaro. E in Puglia si svolgerà in giugno il vertice del G7, il mondo in casa. Non solo nella designata Borgo Egnazia, gioiello della Valle d’Itria, quanto anche a Bari. Tanto che gli 007 degli Stati partecipanti sciamano silenziosamente per predisporre una sicurezza tanto più a rischio quanto lo facciano temere le guerre in corso in Ucraina e a Gaza.

È stato il senatore Gasparri a lanciare un petardo da far invidia a Capodanno: ci vuole un’inchiesta dell’Antimafia, che non possa escludere lo scioglimento dell’amministrazione comunale per compromissione mafiosa. A Gasparri si sono subito accodati pezzi da novanta locali come un viceministro e un sottosegretario. Più addirittura un altro centrodestro come il vice presidente dell’Antimafia medesima.

Infine il ministro Piantedosi ha ordinato un’indagine conoscitiva definendola . Ma considerata tanto precipitosa quanto inopportuna da Decaro da tacciarla come . Per un pugno di voti. Con l’accusa di sciacallaggio elettorale sulla pelle non di una amministrazione ma di una città sommariamente considerata mafiosa e offesa nella sua dignità sociale. Che a Bari operino da tempo clan mafiosi, non ci piove, come in altre città del Sud e del Nord. Che siano capaci di mimetizzarsi nell’economia, è altrettanto vero. Ma che ciò comporti la presenza di <concreti, univoci e rilevanti elementi di ingerenza compromissoria dell’attività amministrativa del Comune>, è altro discorso, anche se l’aria di voler arrivare a questa accusa (o a questa speranza) non è mancata finora negli accusatori.

Ma è stato lo stesso procuratore della Repubblica, Rossi, a sottolineare l’azione finora svolta da Decaro e dai suoi contro questi clan. Decaro a lungo sotto scorta per questo. E Decaro che ha subito consegnato in Prefettura tanti di quei faldoni sulla sua attività antimafia da riempire una stanza. Faldoni mostrati quasi foglio per foglio in una incandescente conferenza stampa ieri mattina, durante la quale un infuriato Decaro ha riepilogato tutto il contrario della compromissione. Tutte le denunce da lui fatte, tutti i traffici stroncati, tutti gli arresti ottenuti, tutti i tentativi di intimidazione brutalmente respinti, tutti i cittadini da lui accompagnati mano a mano in Questura, tutti i cittadini che lo ringraziano ancora per questo.

L’ipotesi di scioglimento (o di rinvio delle elezioni) sembra più astratta che improbabile, e comunque non ha mai investito finora una così grande città in Italia come se fosse uno sfortunato paese vittima di ‘ngrangheta o camorra. Ma la polpetta avvelenata è lanciata. Lanciata su una città (e una cittadinanza) che l’Istat ha di recente definito la prima del Sud per l’incremento della occupazione. Che è nona per questo in Italia. Che è la quinta città tecnologica del Paese. Che ha il primo porto crocieristico dell’Adriatico. Che ha attirato finora una ventina di grandi gruppi dell’Itc e della manifattura globale, determinati dalla buona amministrazione (altrimenti andavano altrove) e dalla presenza di giovani sfornati a getto continuo da un Politecnico sempre più da primato.

Una Bari in cui ci sono tre università. Una Bari premium in cui non c’è brand che non ci voglia stare, non c’è sede che non voglia aprire. Una Bari pullulante di tante opere pubbliche e destinataria di tanti nuovi fondi (oltre un miliardo) perché si continui a modernizzare e innovare. Una Bari deluxe invasa di turisti come non mai e immortalata dalle tv non solo grazie alle Lolita. Una Bari alla moda. Che i suoi bassifondi siano talmente inquinati e purulenti, sembra al momento soprattutto più frutto di cattivo giallismo che della realtà. E che l’ dell’indagine possa essere garantista per la stessa città per bene, è l’attesa. Perché senza inopportune e ridicole beatificazioni ma perlomeno a lume di naso, molto lascia credere che se c’è del marcio, questo marcio sia ancora a Copenaghen.

Lino Patruno

Autore