La politica che usa la giustizia non può lamentarsi se ne diventa schiava. La sola idea di avviare una procedura di scioglimento per mafia di Bari è un azzardo, tanto più se la motivazione è l’arresto di un paio di politici locali e l’infiltrazione di una municipalizzata.

Mafia Capitale avrebbe dovuto insegnare qualcosa. Il mondo di mezzo che l’indagine del procuratore Pignatone portò alla luce nel 2015 tutto era tranne che mafia, il cui simbolo però divenne un marchio di infamia per Roma e per l’Italia. Dopo tre anni la Cassazione demolì quel teorema, dietro il quale si celava il tentativo di una parte magistratura di esportare i rimedi spicci della legislazione speciale in tutto il Paese.

Il danno economico e di immagine fu altissimo e mai debitamente analizzato. Eppure in quella circostanza la politica seppe resistere al pressing dell’Antimafia e si limitò a sciogliere il Consiglio comunale di Ostia, non quello di Roma. Stavolta il rischio è di andare oltre. L’invio a Bari della commissione d’accesso non è un “atto dovuto”, come sostiene Piantedosi, ma un atto politico, incauto e sgrammaticato, che instaura una conflittualità senza precedenti nella democrazia di una grande città del Sud.

Dove l’esperienza di trent’anni di commissariamenti, lungi dal bonificare la politica, ha cronicizzato l’opacità della vita pubblica e ha nutrito una burocrazia prefettizia dell’emergenza non sempre all’altezza del compito. Invece di replicare questo schema, sarebbe il caso di interrogarsi sugli esiti di una politica fallimentare.

alessandro barbano

Nato a Lecce il 26 luglio 1961 è un giornalista, scrittore e docente italiano. È stato condirettore del Corriere dello Sport, editorialista di Huffington Post, conduttore della rassegna stampa di Radio radicale, Stampa e Regime, e curatore della rubrica di libri War room books sul sito romaincontra.it. Ha diretto per quasi sei anni il Mattino di Napoli (2012- 2018) e per cinque è stato vicedirettore del Messaggero. Laureato in giurisprudenza all'università di Bologna, giornalista professionista dal 1984, ha insegnato teoria e tecnica del linguaggio giornalistico, organizzazione del lavoro redazionale, sociologia delle comunicazioni di massa, retorica, linguaggi e stili del giornalismo, giornalismo politico ed economico all'Università La Sapienza di Roma, all'Università del Molise, alla Link University e all’Università Suor Orsola Benincasa. È autore di saggi dedicati al giornalismo e a temi di carattere politico e sociale: La Gogna (Marsilio 2023), L’inganno (Marsilio 2022), La visione (Mondadori 2020), Le dieci bugie (Mondadori 2019), Troppi diritti (Mondadori 2018), Dove andremo a finire (Einaudi 2011), Degenerazioni (Rubbettino 2007). Al giornalismo ha dedicato Professionisti del dubbio (Lupetti 1997), l’Italia dei giornali fotocopia (Franco Angeli 2003) e Manuale di giornalismo, (Laterza 2012). Presiede la Fondazione Campania dei Festival. Nominato dal Ministro dei Beni culturali, è componente del consiglio di indirizzo del Teatro di San Carlo e del museo di Palazzo Reale di Napoli. Dall'11 marzo 2024 è direttore del Riformista.