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Le misure di prevenzione e i signori K. di oggi. La Giustizia è vendetta: così vi puniranno

“Qualcosa doveva aver pur fatto il Sig. K, perché un giorno, nonostante fosse stato assolto, gli presero tutto ciò che possedeva”. Fosse vissuto al giorno d’oggi, Franz Kafka avrebbe pensato ad un incipit del genere per “Il processo”. Ed il procedimento di prevenzione sarebbe stato l’ambientazione perfetta, quasi naturale, delle vicissitudini giudiziarie del suo protagonista, Joseph K., avvolto nelle spire sempre più strette di un’accusa sconosciuta ma incombente. Estraniato d’un colpo dalla propria vita, che continua nell’apparente normalità di chi è tuttavia cosciente della fine imminente. Trascinato tra gli spazi onirici di un Tribunale, nei quali si aggirano figure indecifrabili di imputati, sgherri, avvocati, testimoni, uscieri. Tutti interessati a se stessi, più che a Joseph. Nessuno in grado di occuparsi di lui, di orientarlo in quel labirinto che è diventato la sua esistenza e di spiegargli come uscire da quella assurda situazione.
Le misure di prevenzione e signori K. di oggi
Con un che di fatalismo indolente. «Il tribunale non ti chiede nulla. Ti accoglie quando vieni, ti lascia andare quando vai». Ma dipende tutto da come ti accoglie e, soprattutto, da come ti lascia andar via. Tanti sono oggi i Signori K che affollano i nostri Tribunali di prevenzione e tali sono i loro tormenti, che il grande scrittore praghese non sarebbe riuscito a raccontare. Persone che, la maggior parte delle volte, nel giro di una notte hanno perso tutto: lavoro, denaro, beni, relazioni sociali, famiglie. In alcuni casi (“e sono tanti, e sono troppi”) la vita, recisa da sé per il troppo dolore, la troppa angoscia, la troppa vergogna. Per un sospetto, spesso impalpabile; per un’accusa mai riscontrata; per una parentela scomoda (cosa voglia dire, non lo potrebbe spiegare neanche Kafka); per una “vicinanza”.
È difficile spiegare
Gente che fatica a capire quello che, come avvocati, cerchiamo loro di spiegare, ma come giuristi stentiamo anche noi a comprendere: che non abbiamo un onere di provare la liceità degli acquisti contestati, ma se non assolviamo ad un dovere di allegazione rischiamo la confisca dei beni; che una Legge scritta male, se chiarita dalle sentenze successive, può anche essere applicata retroattivamente; che si può “appartenere”, senza partecipare, ad una consorteria mafiosa; che possono venire a chiederti conto del tuo più insignificante acquisto dopo decenni, pretendendo che tu sia in grado di giustificarlo; che possono spogliarti di ciò che hai lecitamente accumulato, se solo accede ad un bene di presunta origine illecita e che, se ciò avviene, non hai neanche diritto ad un indennizzo; che basta la natura sospetta di un investimento per subire la confisca di una intera azienda. Che esistono, dunque, concetti come “impresa mafiosa” ed “accessione invertita” che, nel procedimento di prevenzione, hanno un significato ed un regime completamente diverso rispetto agli altri settori del diritto. Che, se non disponi più del bene che hai acquistato quando eri “pericoloso” – anche se, per esempio, un terremoto ti ha distrutto quella casa – te ne sottrarranno un altro di pari valore, a prescindere dalla sua origine lecita. Che, anche se sei scampato una volta, lo Stato avrà infinite possibilità di proporti per una misura di prevenzione e, non appena penserai di trasferire parte del tuo patrimonio, ti accuseranno di voler eludere la confisca e ti ritroverai, oltre che “proposto”, anche imputato. Ingenui, che non si fanno una ragione di come sia possibile essere assolti e, tuttavia, subire la confisca dei beni; di come si possa perdere il controllo della propria azienda, o ricevere una interdittiva antimafia, per essere stati vittime della criminalità organizzata.
Assuefatti alla anormalità
A quanti di loro, come la paziente Signora Grubach, abbiamo dovuto ripetere: «Lei non deve prendersela troppo a cuore. Che cosa non capita nel mondo!». Siamo forse assuefatti alla anormalità. Rassegnati ad un sistema che ha presupposti tanto diversi ed effetti tanto simili rispetto alla materia penale. Ma abbiamo capito, senza comprendere. Anche per Joseph K, del resto, “la giusta comprensione di una cosa e la incomprensione della stessa cosa non si escludono”. E ci siamo rassegnati a vivere nel limbo della ragione, condannati ad applicare regole che non condividiamo e che neanche noi comprendiamo, intuendone solo la ragione pratica: quella necessità primordiale e, per questo, violenta, rozza, ottusa che “il crimine non paghi”. Quale crimine, accertato come, sono dettagli che non interessano più a nessuno.
La Giustizia di oggi è una vendette: vi puniranno con la prevenzione
La Giustizia assomiglia sempre più ad una vendetta, ad un “andiamo ai campi”. Che deve triturare, in un modo o nell’altro, chi abbia la sventura di incapparvi: del resto, l’assolto è solo un colpevole fortunato. Ed a chi comanda, i fortunati non sono mai piaciuti. Li puniranno con la prevenzione. Siamo frastornati dalle campagne pubblicitarie costruite sul sangue dei martiri che chiama il sangue degli innocenti; su una legislazione che di antimafia ha ormai solo il titolo; sul dagli all’untore. Ed anche se continuiamo a lottare, ogni giorno, per denunciare questo scempio quotidiano dei diritti tra i più importanti tra quelli di rilievo costituzionale, sappiamo già di dover accompagnare in percorsi dolorosi e spesso senza uscita persone che, come il protagonista di Kafka, hanno perso anche il nome. Sono stati annullati, schiacciati, spogliati del loro passato. I loro figli privati del futuro. Troppo spesso indotti a mute ed estreme denunce, togliendosi la vita, quasi per riaffermarsi proprietari di qualcosa di immateriale e, perciò, non confiscabile. Chissà se il loro ultimo pensiero è stato come quello di Joseph K. «“Come un cane!”, disse e gli parve che la vergogna gli dovesse sopravvivere».
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